https://nazariopardini.blogspot.com/2019/03/ester-cecere-legge-precipitare-di-luisa.html?fbclid=IwAR3gToj-iTGLG_t6sJwrZwHhfBVi_Hp4jLBZD8R8RpDoIe1LpOqsru7wHvs
Ho letto “Precipitare” di Luisa Bolleri, Leonida Edizioni, Reggio Calabria, 2019
Un titolo emblematico quello scelto da Luisa Bolleri per la sua ultima raccolta di racconti, che mi suggerisce una doppia interpretazione. “Precipitare” nell’abbandono, nell’apatia, nella follia, nella disperazione o “precipitare” nell’indifferenza, nella mancanza di empatia, di compassione, di umanità, per dirla con una sola parola?
La raccolta consta di ventuno racconti brevi, ognuno dei quali si incentra su di un problema dell’attuale società ma anche su eventi criminosi. L’intento dell’Autrice è, appunto, quello di richiamare l’attenzione del lettore sul dramma umano, che le disfunzioni della odierna società comportano, aspetto che spesso sfugge ai più, assuefattisi ormai alla serie di fatti di cronaca nera che vengono sciorinati dai mass media con gelido distacco.
La sua intenzione è ben palesata dalla citazione di E. M. Cioran in antiporta, la quale recita: “Un libro deve frugare nelle ferite, anzi deve provocarle. Un libro deve essere un pericolo”. E di ferite questa raccolta ne provoca molte, profonde e sanguinanti! Leggendo si ha l’impressione che le situazioni trattate siano in fila su di un palcoscenico buio e che ogni racconto, come un faro, ne illumini una alla volta, mettendone in evidenza i molteplici aspetti, quelli che riguardano il singolo individuo e/o la collettività. E così, di volta in volta, il faro si accende sul suicido di un padre di famiglia che è stato licenziato e che in una fredda alba scivola nel fiume. Ora si accende su storie di disabilità fisica e mentale vissute nel degrado e nell’isolamento, creati dagli stessi familiari, da coloro, cioè, che per primi dovrebbero prendersi cura dei bisognosi. Si tratta di situazioni spesso sotto gli occhi dei vicini di casa, a conoscenza di movimenti sospetti, di sparizioni di persone, eventi che però essi preferiscono ignorare, per essere discreti, per non impicciarsi: «E che ne so io, di cosa contengono quei sacchetti? Io lavoro e sto poco in casa. Se una volta ho incrociato la signora con i sacchetti non mi sono posta troppe domande» (da “Segregata”), espressioni ricorrenti che mascherano indifferenza e ipocrisia.
Analogamente, si finge di non vedere lo svolgersi di altre tragedie, l’uomo violento che urla spesso contro la sua compagna, la coppia che si dibatte tra i debiti, la figlia, in seno a una famiglia di immigrati, “partita” ma in realtà venduta per denaro o concessa in sposa minorenne. E così via. Ogni racconto è emblematico di una situazione, di un crimine. E il faro impietoso illumina femminicidi, stupri, episodi di pedofilia, crimini stradali.
Ma non è mera cronaca quella di Luisa Bolleri, ché l’Autrice, forte delle doti di psicologa già dimostrate nelle sue precedenti opere, mostra il dramma interiore vissuto dalle vittime sensu lato, dramma che va dallo spaesamento, dal semplice disagio, dall’inquietudine, dallo sconforto, all’angoscia, al terrore, alla disperazione, ora urlata scompostamente ora lucidamente silenziosa. L’Autrice mostra abilmente ai lettori tutta la gamma dei sentimenti propri delle situazioni trattate in un inesorabile crescendo.
Dalla narrazione emerge una società in cui sono “tutti innocenti, forse tutti colpevoli” (da “Segregata”), in cui impera “un’umanità indifferente, indirizzata verso il niente”, dove “la gente a piedi scansa” chi ha bisogno di aiuto, dove “le auto scorrono impazienti lungo il senso unico” (da “I pensieri uccidono”), una società che non è al servizio dell’uomo ma in cui egli è al servizio della stessa, in cui ogni individuo è un ingranaggio non indispensabile, una collettività completamente disumanizzata, ormai priva di valori. E viene in mente la “società liquida” del sociologo e filosofo Zygmunt Bauman nella quale, a seguito della crisi del concetto di comunità, emerge un individualismo sfrenato, dove non esistono compagni di viaggio ma tutt’al più antagonisti da cui guardarsi.
La tecnica narrativa va dalla classica narrazione in terza persona, a quella in prima persona, più coinvolgente; decisamente particolare, l’ultimo racconto in cui la protagonista, vittima di femminicidio, si rivolge a se stessa per parlare a tutte le donne.
Metafore dalla grande potenza evocativa conferiscono pathos alla narrazione, suscitando nel lettore emozioni che difficilmente dimenticherà: “Cupi ricordi sarebbero riaffiorati prepotenti, come melma velenosa vomitati da una fogna sotterranea” (da “Ad Alessandria c’è il mare”).
Fa soffrire questo libro di Luisa Bolleri ma, ritengo, che ogni tanto soffrire sia necessario se può servire a soffermarsi su di una parte di umanità spesso da noi tutti dimenticata.
Ho letto “Precipitare” di Luisa Bolleri, Leonida Edizioni, Reggio Calabria, 2019
Un titolo emblematico quello scelto da Luisa Bolleri per la sua ultima raccolta di racconti, che mi suggerisce una doppia interpretazione. “Precipitare” nell’abbandono, nell’apatia, nella follia, nella disperazione o “precipitare” nell’indifferenza, nella mancanza di empatia, di compassione, di umanità, per dirla con una sola parola?
La raccolta consta di ventuno racconti brevi, ognuno dei quali si incentra su di un problema dell’attuale società ma anche su eventi criminosi. L’intento dell’Autrice è, appunto, quello di richiamare l’attenzione del lettore sul dramma umano, che le disfunzioni della odierna società comportano, aspetto che spesso sfugge ai più, assuefattisi ormai alla serie di fatti di cronaca nera che vengono sciorinati dai mass media con gelido distacco.
La sua intenzione è ben palesata dalla citazione di E. M. Cioran in antiporta, la quale recita: “Un libro deve frugare nelle ferite, anzi deve provocarle. Un libro deve essere un pericolo”. E di ferite questa raccolta ne provoca molte, profonde e sanguinanti! Leggendo si ha l’impressione che le situazioni trattate siano in fila su di un palcoscenico buio e che ogni racconto, come un faro, ne illumini una alla volta, mettendone in evidenza i molteplici aspetti, quelli che riguardano il singolo individuo e/o la collettività. E così, di volta in volta, il faro si accende sul suicido di un padre di famiglia che è stato licenziato e che in una fredda alba scivola nel fiume. Ora si accende su storie di disabilità fisica e mentale vissute nel degrado e nell’isolamento, creati dagli stessi familiari, da coloro, cioè, che per primi dovrebbero prendersi cura dei bisognosi. Si tratta di situazioni spesso sotto gli occhi dei vicini di casa, a conoscenza di movimenti sospetti, di sparizioni di persone, eventi che però essi preferiscono ignorare, per essere discreti, per non impicciarsi: «E che ne so io, di cosa contengono quei sacchetti? Io lavoro e sto poco in casa. Se una volta ho incrociato la signora con i sacchetti non mi sono posta troppe domande» (da “Segregata”), espressioni ricorrenti che mascherano indifferenza e ipocrisia.
Analogamente, si finge di non vedere lo svolgersi di altre tragedie, l’uomo violento che urla spesso contro la sua compagna, la coppia che si dibatte tra i debiti, la figlia, in seno a una famiglia di immigrati, “partita” ma in realtà venduta per denaro o concessa in sposa minorenne. E così via. Ogni racconto è emblematico di una situazione, di un crimine. E il faro impietoso illumina femminicidi, stupri, episodi di pedofilia, crimini stradali.
Ma non è mera cronaca quella di Luisa Bolleri, ché l’Autrice, forte delle doti di psicologa già dimostrate nelle sue precedenti opere, mostra il dramma interiore vissuto dalle vittime sensu lato, dramma che va dallo spaesamento, dal semplice disagio, dall’inquietudine, dallo sconforto, all’angoscia, al terrore, alla disperazione, ora urlata scompostamente ora lucidamente silenziosa. L’Autrice mostra abilmente ai lettori tutta la gamma dei sentimenti propri delle situazioni trattate in un inesorabile crescendo.
Dalla narrazione emerge una società in cui sono “tutti innocenti, forse tutti colpevoli” (da “Segregata”), in cui impera “un’umanità indifferente, indirizzata verso il niente”, dove “la gente a piedi scansa” chi ha bisogno di aiuto, dove “le auto scorrono impazienti lungo il senso unico” (da “I pensieri uccidono”), una società che non è al servizio dell’uomo ma in cui egli è al servizio della stessa, in cui ogni individuo è un ingranaggio non indispensabile, una collettività completamente disumanizzata, ormai priva di valori. E viene in mente la “società liquida” del sociologo e filosofo Zygmunt Bauman nella quale, a seguito della crisi del concetto di comunità, emerge un individualismo sfrenato, dove non esistono compagni di viaggio ma tutt’al più antagonisti da cui guardarsi.
La tecnica narrativa va dalla classica narrazione in terza persona, a quella in prima persona, più coinvolgente; decisamente particolare, l’ultimo racconto in cui la protagonista, vittima di femminicidio, si rivolge a se stessa per parlare a tutte le donne.
Metafore dalla grande potenza evocativa conferiscono pathos alla narrazione, suscitando nel lettore emozioni che difficilmente dimenticherà: “Cupi ricordi sarebbero riaffiorati prepotenti, come melma velenosa vomitati da una fogna sotterranea” (da “Ad Alessandria c’è il mare”).
Fa soffrire questo libro di Luisa Bolleri ma, ritengo, che ogni tanto soffrire sia necessario se può servire a soffermarsi su di una parte di umanità spesso da noi tutti dimenticata.