RECENSIONE A CURA DI FRANCESCO MULE'
L’arte della scrittura in versi appartiene sicuramente all’amica Ester Cecere, Poeta che si presenta con liriche di cotanto spessore culturale con un insieme di fotogrammi così emozionanti ed esistenziali da permetterci di coglierne la forte e pura spiritualità. Nei pur brevi testi dell’ultima silloge poetica, “Come foglie in autunno”, si legge l’essenzialità del concetto che richiede volutamente il netto rifiuto del linguaggio convenzionale della poesia. “Della mia barca / solo i resti / a riva sono giunti. / Ne farò una zattera / per navigare / con a bordo l’essenziale” (La zattera). L’amica Ester è una poeta che mette a nudo la propria anima, proponendola ai suoi lettori / fruitori attraverso flash di memorie. I piccoli / grandi poemi, interiorizzati e, sicuramente, interiorizzanti, risultano composti da versi assolutamente liberi – come libera viene ad essere la sua anima – da immagini che sprigionano forte calore umano; sono, questi, altresì rivelatori dei sentimenti intimi dell’Autrice, che giammai si è permessa di fare retorica poetica. La sua poesia, infatti, è scevra da affettazioni ed è caratterizzata da quella musicalità così dolce e patetica da riuscire a conquistare chi la legge. Da queste poesie, fortemente semplici ed eleganti, scaturiscono sentimenti decisamente romantici. I suoi versi, profumati di malinconia, di nostalgie, di ricordi, sanno essere racconti di vita e frammenti di una storia personale che ripercorrono magistralmente l’esistenza dell’uomo con tutte le sue gioie, ansie, speranze, dolori, affanni, inganni, grandi sogni; sono silenzi di meditazione, suggeriti dalla voce dell’anima che vuole innalzarsi e sublimarsi alla Verità suprema. I componimenti di quest’ultima fatica letteraria sono perle di elevato valore sentimentale, psicologico e, perché no? terapeutico insieme. Essi sanno parlare, con schietta sincerità, d’amore, di amicizia, di delusioni, di amarezze, di tutte quelle tematiche che fanno parte dell’esistenza umana. Tutti elementi, questi, certamente suggeriti dalla quotidianità della vita che riesce a gratificare la nostra Ester attraverso brevi, ma intensi momenti di affetto e di riconoscenza di amici. La Cecere porta, oggi, il verbum della poesia contemporanea alla vita, all’amicizia in nome delle quali comunica il suo pensiero, attraverso il quale l’Autrice raggiunge un raffinato grido di fascinazione lirica con uno stile di scrittura immediata, spontanea e sincera nei contenuti espressivi, dove l’animo si fonde con la spiccata capacità creativa. Una poesia, la sua, dal sapore ungarettiano; poesia della parola / verso, parola / immagine, parola / concetto, parola di tutto sentimento che nasce dalla vis cordis e, quindi, dalla irrazionalità. “Le coeur a ses raisons que la raison ne connait point”. Pensiero di Blaise Pascal, matematico, fisico, filosofo e teologo francese, vissuto tra il 1623 e il 1662. Riguardo al linguaggio, la Nostra ricerca una sorta di musicalità evocativa, accentuando l’elemento sonoro del verso. “La poesia è come un ‘nido’ che protegge dal mondo”. Così, riguardo alla figura del poeta, scriveva il Pascoli, secondo cui la poesia “ha natura irrazionale e con essa si può giungere alla verità di tutte le cose; il poeta deve essere un poeta-fanciullo che arriva a questa verità mediante l’irrazionalità e l’intuizione. Rifiuta quindi la ragione. I motivi principali di questa poesia devono essere “umili cose”: cose della vita quotidiana, cose modeste o familiari. La poesia, quindi, è tale solo quando riesce a parlare con la voce del fanciullo, che narra la sua opera ed esprime la proprie sensazioni”. Ester Cecere, la poeta della irrazionalità e, quindi, del cuore, riesce a fare di se stessa, dei suoi sentimenti e della sua vita, poesia. “Limone spremuto sono / senza più succo. / Su di un tavolo / dimenticato” (Limone). Sublimi e ricchi di luce i versi di Incantato grazie: “Mi riempio / dello stupore dell’alba / che di rosa tinge / della notte le ombre, / dell’eterno sciabordìo del mare… della brezza leggera… dell’abbandono fiducioso / del cucciolo… / E di fiore in fiore, / di vetta in vetta, / di stella in stella, ti giunga / il mio incantato grazie”. E i versi della perla che chiude la preziosa raccolta poetica (Ricordo d’averti sempre udito – A Giuseppe Ungaretti) non sono forse altrettanto ricchi di pathos, tale da suscitare intensa emozione e commozione sul piano estetico e affettivo? “Con occhi attenti di bimba, / sullo schermo / del tuo viso l’immagine / osservai. / Nitida / è ancora nei miei occhi. /… /. Nella piena maturità / ora leggendoti, / ricordo d’averti sempre udito”. Vallecrosia, 14 aprile 2012 – ore 11,22 |
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