TARANTO, ESTER CECERE: “LA LETTURA APRE LA MENTE E IL CUORE
La Voce del Nisseno
mar 03 - 2017
di MICHELE BRUCCHERI – Poetessa pugliese, autrice di “Non vedo, non sento e…”, è ricercatrice del CNR. Si occupa di biologia marina. Nei suoi versi, tematiche delicate e scottanti
La Voce del Nisseno
mar 03 - 2017
di MICHELE BRUCCHERI – Poetessa pugliese, autrice di “Non vedo, non sento e…”, è ricercatrice del CNR. Si occupa di biologia marina. Nei suoi versi, tematiche delicate e scottanti
La Voce del Nisseno online intervista Ester Cecere. Una poetessa di grande valore, che sa rimettere insieme i pezzi della memoria. Affronta argomenti delicati e scottanti. La sua ultima fatica poetica è intitolata “Non vedo, non sento e…”, pubblicata poche settimane addietro. Una raccolta di 55 liriche civili, di denuncia, divise per aree tematiche. Marina Pratici è l’autrice della bella prefazione. A maggio il libro verrà presentato nella sua Taranto.
“La lettura apre la mente e il cuore, amplia gli orizzonti geografici e quelli dell’anima, avvicina i popoli, aiuta a conoscersi, a superare le differenze e le diffidenze, favorisce la condivisione”, asserisce al termine della lunga intervista. Ester Cecere, 59 anni, ricercatrice presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), sposata e madre di due figli, si occupa di biologia marina. Ama il mare, dunque, e la poesia. Due grandi e voraci passioni che coltiva con entusiasmo.
Sette anni fa, la poetessa pugliese pubblica la sua prima silloge. S’intitola “Burrasche e Brezze”. Due anni dopo esce “Come foglie in autunno”. A distanza di un altro biennio, partorisce “Fragile. Maneggiare con cura”. E lo scorso anno dà alle stampe il libro “con l’India negli occhi, con l’India nel cuore”. Sono poesie e fotografie. Si tratta di 25 brevi liriche e 15 fotografie, che raccontano un brandello di vita. Devolve in beneficienza i proventi derivanti dalla vendita dei suoi libri. Ester Cecere ha ottenuto vari premi e la critica si è sempre espressa in maniera lusinghiera.
Due anni fa, nel 2015 quindi, esce anche “Istantanee di vita”, una raccolta di sedici racconti brevi “che prendono spunto da episodi realmente accaduti”. Ogni racconto è preceduto dalla citazione di uno scrittore, giornalista o filosofo “che mira – prosegue Ester Cecere – a introdurre il lettore al tema della riflessione”. Con dovizia di particolari e con spiccata sensibilità si racconta generosamente. Dà “voce” al suo cuore e alla sua mente, dà “voce” ai suoi sentimenti e ai suoi pensieri.
La tua ultima pubblicazione risale a poche settimane fa. Si tratta di “Non vedo, non sento e…”. Ce ne parli?
“Non vedo, non sento e…” è una raccolta di cinquantacinque poesie civili, di denuncia, divise per aree tematiche quali, ad esempio, il dramma vissuto da coloro che fuggono dalle zone di guerra, le privazioni a cui sono sottoposti tanti bambini e la loro morte spesso atroce, la violenza sulle donne in tutti i suoi aspetti, incluso il fenomeno delle spose-bambine, la povertà... Le poesie mi sono state ispirate, quindi, da accadimenti che hanno profondamente scosso la mia sensibilità di donna e di madre. Per questo motivo “Non vedo, non sento e…” mi è particolarmente caro.
La prefazione è firmata da Marina Pratici. Cosa ha scritto?
“La lettura apre la mente e il cuore, amplia gli orizzonti geografici e quelli dell’anima, avvicina i popoli, aiuta a conoscersi, a superare le differenze e le diffidenze, favorisce la condivisione”, asserisce al termine della lunga intervista. Ester Cecere, 59 anni, ricercatrice presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), sposata e madre di due figli, si occupa di biologia marina. Ama il mare, dunque, e la poesia. Due grandi e voraci passioni che coltiva con entusiasmo.
Sette anni fa, la poetessa pugliese pubblica la sua prima silloge. S’intitola “Burrasche e Brezze”. Due anni dopo esce “Come foglie in autunno”. A distanza di un altro biennio, partorisce “Fragile. Maneggiare con cura”. E lo scorso anno dà alle stampe il libro “con l’India negli occhi, con l’India nel cuore”. Sono poesie e fotografie. Si tratta di 25 brevi liriche e 15 fotografie, che raccontano un brandello di vita. Devolve in beneficienza i proventi derivanti dalla vendita dei suoi libri. Ester Cecere ha ottenuto vari premi e la critica si è sempre espressa in maniera lusinghiera.
Due anni fa, nel 2015 quindi, esce anche “Istantanee di vita”, una raccolta di sedici racconti brevi “che prendono spunto da episodi realmente accaduti”. Ogni racconto è preceduto dalla citazione di uno scrittore, giornalista o filosofo “che mira – prosegue Ester Cecere – a introdurre il lettore al tema della riflessione”. Con dovizia di particolari e con spiccata sensibilità si racconta generosamente. Dà “voce” al suo cuore e alla sua mente, dà “voce” ai suoi sentimenti e ai suoi pensieri.
La tua ultima pubblicazione risale a poche settimane fa. Si tratta di “Non vedo, non sento e…”. Ce ne parli?
“Non vedo, non sento e…” è una raccolta di cinquantacinque poesie civili, di denuncia, divise per aree tematiche quali, ad esempio, il dramma vissuto da coloro che fuggono dalle zone di guerra, le privazioni a cui sono sottoposti tanti bambini e la loro morte spesso atroce, la violenza sulle donne in tutti i suoi aspetti, incluso il fenomeno delle spose-bambine, la povertà... Le poesie mi sono state ispirate, quindi, da accadimenti che hanno profondamente scosso la mia sensibilità di donna e di madre. Per questo motivo “Non vedo, non sento e…” mi è particolarmente caro.
La prefazione è firmata da Marina Pratici. Cosa ha scritto?
Marina Pratici ha scritto una prefazione di grande livello culturale, molto erudita come è nel suo stile, ma soprattutto sentita e partecipata, tanto che nel leggerla mi sono commossa. Non voglio dire nulla per lasciare ai lettori il piacere di gustarla. Menziono solo la citazione di Charles Newman tratta dall’opera A Symposium prodromica alla prefazione, che riassume quanto da lei scritto: “La poesia, se è vera, è la voce vera di un uomo vero in un mondo vero”.
Dove l’hai presentato e quali date - al momento - hai in calendario per promuoverlo?
Il libro non è stato ancora presentato poiché è uscito ai primi di febbraio. A maggio lo presenterò a Taranto. Il professor Domenico Pisana, poeta e critico letterario di Modica, fondatore del caffè letterario “Salvatore Quasimodo”, che ha recensito alcuni miei libri, mi onorerà della sua presenza come relatore.
Facciamo un balzo all’indietro. La tua prima pubblicazione risale a sette anni fa. Di fatto però tu scrivi da sempre. Perché hai atteso tanto tempo prima di pubblicare “Burrasche e Brezze”?
Sono sempre stata gelosa delle mie poesie, che solo pochissime persone avevano letto, e pensavo di tenerle solo per me, come una sorta di diario segreto. Con la maturità, tuttavia, ho compreso l’importanza della condivisione e della poesia come forma di denuncia. Credo profondamente nel potere benefico della condivisione così come nel desiderio di leggere per ritrovarsi in ciò che leggiamo. Ho quindi deciso di pubblicare la mia prima silloge poetica, che raccoglie le poesie scritte sin da quando ero una ragazzina.
Dopo questo debutto poetico-letterario, nel 2012 “partorisci” il libro “Come foglie in autunno”. Qual è il filo conduttore?
Il titolo di questo mio secondo libro di poesie vuole essere un “omaggio” all’intramontabile “Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie”, da “Soldati” di Giuseppe Ungaretti, poeta che amo profondamente e che sento molto vicino. Infatti, il leitmotiv di tutta la raccolta è l’estrema precarietà della vita umana, la brevità del nostro passaggio terreno, spesso pieno di insidie e di incomprensioni, di solitudine e di sofferenza, talvolta, di disperazione causata da eventi dolorosi e ineludibili. Questi nostri stati d'animo, tuttavia, non devono portarci a rinchiuderci in noi stessi, a isolarci in un dolore che non lascia spazio alla speranza…
Prosegui Ester.
Nella provvisorietà della nostra condizione, dobbiamo “potare”, come dico nelle lirica “Potatura”, vale a dire eliminare, tutto ciò che non è necessario o che ci fa star male e individuare ciò che è invece essenziale nella nostra vita, quelli che per noi sono i veri valori irrinunciabili, che dobbiamo custodire, quasi mettere in salvo in un'immaginaria “Arca” (da un’altra poesia “L’arca”). Tra questi “valori” c’è l’amore per il prossimo - inteso anche come il barbone, il migrante… - per la natura (che va salvaguardata). Ritengo che si possa trovare conforto nell'aprirci agli altri, a coloro che soffrono come e più di noi.
Con cadenza biennale, poi, nel 2014 esce “Fragile. Maneggiare con cura”. Qual è il “succo” di questo progetto editoriale?
Questa mia terza raccolta di poesie vuole richiamare l’attenzione sulla fragilità dell’anima, dei sentimenti che, al pari di oggetti preziosi e fragili appunto, devono essere “maneggiati con cura”, trattati con la massima attenzione, delicatezza. La nostra anima, i nostri sentimenti “maltrattati” non saranno mai più gli stessi e, se anche i rapporti individuali continueranno, come ho avuto modo di specificare nella “nota dell’autore”, un sentimento rattoppato sarà come un vaso cinese dall'inestimabile valore rottosi e restaurato, non sarà mai più di grande pregio. Pertanto, quello che sopravviverà sarà un simulacro del sentimento originario, una volta genuino e gioioso.
Lo scorso anno pubblichi “con l'India negli occhi, con l'India nel cuore”. Sono poesie e fotografie. E’ vero?
Questa raccolta di poesie consta di venticinque brevi liriche e quindici fotografie. E’ stata scritta al ritorno da un viaggio in India, precisamente nella regione settentrionale del Rajasthan. Qualche critico letterario l’ha definita un “reportage in versi” o un “diario di viaggio”. Sin da ragazzina ho viaggiato molto. Ho visitato diversi paesi dalle civiltà millenarie e caratteristiche, le cui peculiarità sono riflesse nei templi, nelle chiese, nelle moschee, nei palazzi reali e, di conseguenza, in ogni particolare architettonico.
Dove l’hai presentato e quali date - al momento - hai in calendario per promuoverlo?
Il libro non è stato ancora presentato poiché è uscito ai primi di febbraio. A maggio lo presenterò a Taranto. Il professor Domenico Pisana, poeta e critico letterario di Modica, fondatore del caffè letterario “Salvatore Quasimodo”, che ha recensito alcuni miei libri, mi onorerà della sua presenza come relatore.
Facciamo un balzo all’indietro. La tua prima pubblicazione risale a sette anni fa. Di fatto però tu scrivi da sempre. Perché hai atteso tanto tempo prima di pubblicare “Burrasche e Brezze”?
Sono sempre stata gelosa delle mie poesie, che solo pochissime persone avevano letto, e pensavo di tenerle solo per me, come una sorta di diario segreto. Con la maturità, tuttavia, ho compreso l’importanza della condivisione e della poesia come forma di denuncia. Credo profondamente nel potere benefico della condivisione così come nel desiderio di leggere per ritrovarsi in ciò che leggiamo. Ho quindi deciso di pubblicare la mia prima silloge poetica, che raccoglie le poesie scritte sin da quando ero una ragazzina.
Dopo questo debutto poetico-letterario, nel 2012 “partorisci” il libro “Come foglie in autunno”. Qual è il filo conduttore?
Il titolo di questo mio secondo libro di poesie vuole essere un “omaggio” all’intramontabile “Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie”, da “Soldati” di Giuseppe Ungaretti, poeta che amo profondamente e che sento molto vicino. Infatti, il leitmotiv di tutta la raccolta è l’estrema precarietà della vita umana, la brevità del nostro passaggio terreno, spesso pieno di insidie e di incomprensioni, di solitudine e di sofferenza, talvolta, di disperazione causata da eventi dolorosi e ineludibili. Questi nostri stati d'animo, tuttavia, non devono portarci a rinchiuderci in noi stessi, a isolarci in un dolore che non lascia spazio alla speranza…
Prosegui Ester.
Nella provvisorietà della nostra condizione, dobbiamo “potare”, come dico nelle lirica “Potatura”, vale a dire eliminare, tutto ciò che non è necessario o che ci fa star male e individuare ciò che è invece essenziale nella nostra vita, quelli che per noi sono i veri valori irrinunciabili, che dobbiamo custodire, quasi mettere in salvo in un'immaginaria “Arca” (da un’altra poesia “L’arca”). Tra questi “valori” c’è l’amore per il prossimo - inteso anche come il barbone, il migrante… - per la natura (che va salvaguardata). Ritengo che si possa trovare conforto nell'aprirci agli altri, a coloro che soffrono come e più di noi.
Con cadenza biennale, poi, nel 2014 esce “Fragile. Maneggiare con cura”. Qual è il “succo” di questo progetto editoriale?
Questa mia terza raccolta di poesie vuole richiamare l’attenzione sulla fragilità dell’anima, dei sentimenti che, al pari di oggetti preziosi e fragili appunto, devono essere “maneggiati con cura”, trattati con la massima attenzione, delicatezza. La nostra anima, i nostri sentimenti “maltrattati” non saranno mai più gli stessi e, se anche i rapporti individuali continueranno, come ho avuto modo di specificare nella “nota dell’autore”, un sentimento rattoppato sarà come un vaso cinese dall'inestimabile valore rottosi e restaurato, non sarà mai più di grande pregio. Pertanto, quello che sopravviverà sarà un simulacro del sentimento originario, una volta genuino e gioioso.
Lo scorso anno pubblichi “con l'India negli occhi, con l'India nel cuore”. Sono poesie e fotografie. E’ vero?
Questa raccolta di poesie consta di venticinque brevi liriche e quindici fotografie. E’ stata scritta al ritorno da un viaggio in India, precisamente nella regione settentrionale del Rajasthan. Qualche critico letterario l’ha definita un “reportage in versi” o un “diario di viaggio”. Sin da ragazzina ho viaggiato molto. Ho visitato diversi paesi dalle civiltà millenarie e caratteristiche, le cui peculiarità sono riflesse nei templi, nelle chiese, nelle moschee, nei palazzi reali e, di conseguenza, in ogni particolare architettonico.
Vai avanti.
Ero, quindi, curiosa di ammirare l’India dei Maharaja, degli sfarzosi palazzi reali, dei maestosi mausolei, primo fra tutti il marmoreo Taj Mahal, patrimonio dell’Unesco. Tuttavia, quello che in me è rimasto di questo viaggio in auto da Nuova Delhi a Jaisalmer (poco distante dal confine col Pakistan), non sono state le bellezze architettoniche né l’aspetto aspro del paesaggio. Quello che mi è rimasto nel cuore sono state le miserabili condizioni di vita della maggior parte della popolazione e la bellezza dei visi dei bambini e delle giovani donne.
Nel 2015 hai anche pubblicato una raccolta di racconti brevi. Di cosa si tratta, esattamente?
“Istantanee di vita” è una raccolta di sedici racconti che prendono spunto da episodi realmente accaduti. Gli argomenti affrontati sono molto diversi fra loro e rappresentano la varietà delle situazioni che la vita ci riserva. A volte si tratta di storie consuete, altre di eventi insoliti, drammatici o divertenti. Sono spaccati di vissuto che ho voluto portare all’attenzione del lettore, invitandolo a cogliere i molteplici spunti di riflessione che spesso la vita ci offre proprio tramite alcuni avvenimenti sui quali, tuttavia, raramente ci soffermiamo.
Ogni racconto è preceduto da una frase, vero?
Ogni racconto è preceduto dalla citazione di uno scrittore, giornalista o filosofo, che mira a introdurre il lettore al tema della riflessione. Recentemente, questa mia pubblicazione è stata presentata e consigliata ai telespettatori del TG Puglia nell’ambito della rubrica “Break in libreria”, che va in onda tutti i sabato, a cura del giornalista Vincenzo Quarto. Inutile dire che per me è stata una grande soddisfazione.
In questi anni hai ottenuto diversi premi. A quale riconoscimento ti senti maggiormente legata?
Quello che forse ha mi ha gratificato di più è il premio ricevuto al concorso 88.88, organizzato dall'associazione culturale YOWRAS Young Writers & Storytellers di Pinerolo, grazie ad un racconto inedito dal titolo “Le grida dei gabbiani”, che tratta del naufragio di un barcone avvenuto nell’ottobre del 2013, durante il quale persero la vita oltre trecento migranti. Il premio mi è stato conferito da una giuria di Torino. Una giuria settentrionale che ha compreso perfettamente lo stato d’animo dei meridionali o meglio, degli abitanti di quella che è oggi definita la terra della speranza, Lampedusa, terra di migranti e di accoglienza incondizionata. Una giuria settentrionale che ha premiato un’autrice meridionale per un racconto ambientato ancora più a sud della mia città natale. E’ stata una vera soddisfazione!
Anche la critica si è espressa sul tuo lirismo. In che termini? Ci regali qualche frase?
Ho avuto l’onore di essere stata letta da molti poeti e critici letterari famosi. Per brevità e senza voler fare torto a nessuno, riporto solo la conclusione del commento del poeta Giorgio Bàrberi Squarotti che su “Fragile. Maneggiare con cura” ha scritto: “…La liricità che pervade le poesie di Ester Cecere è di una straordinaria purezza nella sua essenzialità fra visioni e paesaggi, emozioni e pene”.
Cosa significa, per te, scrivere e condividere i tuoi versi?
Ero, quindi, curiosa di ammirare l’India dei Maharaja, degli sfarzosi palazzi reali, dei maestosi mausolei, primo fra tutti il marmoreo Taj Mahal, patrimonio dell’Unesco. Tuttavia, quello che in me è rimasto di questo viaggio in auto da Nuova Delhi a Jaisalmer (poco distante dal confine col Pakistan), non sono state le bellezze architettoniche né l’aspetto aspro del paesaggio. Quello che mi è rimasto nel cuore sono state le miserabili condizioni di vita della maggior parte della popolazione e la bellezza dei visi dei bambini e delle giovani donne.
Nel 2015 hai anche pubblicato una raccolta di racconti brevi. Di cosa si tratta, esattamente?
“Istantanee di vita” è una raccolta di sedici racconti che prendono spunto da episodi realmente accaduti. Gli argomenti affrontati sono molto diversi fra loro e rappresentano la varietà delle situazioni che la vita ci riserva. A volte si tratta di storie consuete, altre di eventi insoliti, drammatici o divertenti. Sono spaccati di vissuto che ho voluto portare all’attenzione del lettore, invitandolo a cogliere i molteplici spunti di riflessione che spesso la vita ci offre proprio tramite alcuni avvenimenti sui quali, tuttavia, raramente ci soffermiamo.
Ogni racconto è preceduto da una frase, vero?
Ogni racconto è preceduto dalla citazione di uno scrittore, giornalista o filosofo, che mira a introdurre il lettore al tema della riflessione. Recentemente, questa mia pubblicazione è stata presentata e consigliata ai telespettatori del TG Puglia nell’ambito della rubrica “Break in libreria”, che va in onda tutti i sabato, a cura del giornalista Vincenzo Quarto. Inutile dire che per me è stata una grande soddisfazione.
In questi anni hai ottenuto diversi premi. A quale riconoscimento ti senti maggiormente legata?
Quello che forse ha mi ha gratificato di più è il premio ricevuto al concorso 88.88, organizzato dall'associazione culturale YOWRAS Young Writers & Storytellers di Pinerolo, grazie ad un racconto inedito dal titolo “Le grida dei gabbiani”, che tratta del naufragio di un barcone avvenuto nell’ottobre del 2013, durante il quale persero la vita oltre trecento migranti. Il premio mi è stato conferito da una giuria di Torino. Una giuria settentrionale che ha compreso perfettamente lo stato d’animo dei meridionali o meglio, degli abitanti di quella che è oggi definita la terra della speranza, Lampedusa, terra di migranti e di accoglienza incondizionata. Una giuria settentrionale che ha premiato un’autrice meridionale per un racconto ambientato ancora più a sud della mia città natale. E’ stata una vera soddisfazione!
Anche la critica si è espressa sul tuo lirismo. In che termini? Ci regali qualche frase?
Ho avuto l’onore di essere stata letta da molti poeti e critici letterari famosi. Per brevità e senza voler fare torto a nessuno, riporto solo la conclusione del commento del poeta Giorgio Bàrberi Squarotti che su “Fragile. Maneggiare con cura” ha scritto: “…La liricità che pervade le poesie di Ester Cecere è di una straordinaria purezza nella sua essenzialità fra visioni e paesaggi, emozioni e pene”.
Cosa significa, per te, scrivere e condividere i tuoi versi?
La poesia ricopre ruoli diversi, a seconda che ci si riferisca all’autore o al lettore e a seconda del genere poetico, vale a dire se si tratti di lirica o di poesia sociale. Nel primo caso, la poesia per l’autore è uno “strumento” di indagine introspettiva ma, più che all’autore stesso, è utile al prefatore attento, acuto, molto preparato, e al lettore predisposto a leggere poesia. Essa ha per l’autore anche un ruolo catartico; gli psicologi direbbero che rappresenta l’elaborazione del lutto.
E per te?
A mio avviso, alcune caratteristiche sono comuni ad entrambi i tipi di espressione. Mi spiego: per l’autore la poesia è un’esigenza irrinunciabile; essa deve scaturire dal sentimento, in quanto non è mai il prodotto della ragione. Vorrei aggiungere che la poesia deve essere sempre “condivisibile”: ciò che il poeta enuncia deve poter essere valido per qualunque uomo, di una qualsiasi epoca, in una qualunque parte del mondo. Solo così la poesia assume un valore universale e immortale.
Concordo.
Questo concetto è stato mirabilmente sintetizzato da Salvatore Quasimodo che affermò: “La poesia è la rivelazione di un sentimento che il poeta crede che sia personale e interiore, che il lettore riconosce come proprio”. L’apprezzamento più bello che un lettore possa fare dopo aver letto una mia poesia è: “La sento mia. Mi sembra di averla scritta io”. Un tale complimento vale per me più di cento premi nei concorsi letterari.
Ci doni una poesia da far conoscere ai nostri lettori digitali?
Ai lettori de La Voce del Nisseno propongo la poesia che fa da antiporta alla raccolta “Non vedo, non sento e…” e che ne riassume il leitmotiv.
Da dove vengono le lacrime?
Da dove vengono le lacrime
se stagni secchi
sono gli occhi,
legnoso nòcciolo
il cuore,
e l'anima
l'esuvia d'un serpente?
Forse,
sono gocce di primaverile pioggia.
Forse,
sono stille di rugiada mattutina.
Sono le lacrime del mondo,
cadute su di un viso
duro come cuoio
per donargli ancora
un po' d'umanità.
Mi risulta che devolvi in beneficenza i proventi derivanti dalla vendita dei tuoi libri. Confermi?
E’ vero. Devolvo in beneficenza i proventi della vendita dei miei libri durante le presentazioni. Scherzando, chiamo questa mia scelta “la ricaduta pratica della poesia”. Sono poco impegnata nel sociale; pertanto, cerco in questo modo di dare il mio piccolo contributo per aiutare coloro che hanno bisogno devolvendo il denaro raccolto ad associazioni umanitarie.
E per te?
A mio avviso, alcune caratteristiche sono comuni ad entrambi i tipi di espressione. Mi spiego: per l’autore la poesia è un’esigenza irrinunciabile; essa deve scaturire dal sentimento, in quanto non è mai il prodotto della ragione. Vorrei aggiungere che la poesia deve essere sempre “condivisibile”: ciò che il poeta enuncia deve poter essere valido per qualunque uomo, di una qualsiasi epoca, in una qualunque parte del mondo. Solo così la poesia assume un valore universale e immortale.
Concordo.
Questo concetto è stato mirabilmente sintetizzato da Salvatore Quasimodo che affermò: “La poesia è la rivelazione di un sentimento che il poeta crede che sia personale e interiore, che il lettore riconosce come proprio”. L’apprezzamento più bello che un lettore possa fare dopo aver letto una mia poesia è: “La sento mia. Mi sembra di averla scritta io”. Un tale complimento vale per me più di cento premi nei concorsi letterari.
Ci doni una poesia da far conoscere ai nostri lettori digitali?
Ai lettori de La Voce del Nisseno propongo la poesia che fa da antiporta alla raccolta “Non vedo, non sento e…” e che ne riassume il leitmotiv.
Da dove vengono le lacrime?
Da dove vengono le lacrime
se stagni secchi
sono gli occhi,
legnoso nòcciolo
il cuore,
e l'anima
l'esuvia d'un serpente?
Forse,
sono gocce di primaverile pioggia.
Forse,
sono stille di rugiada mattutina.
Sono le lacrime del mondo,
cadute su di un viso
duro come cuoio
per donargli ancora
un po' d'umanità.
Mi risulta che devolvi in beneficenza i proventi derivanti dalla vendita dei tuoi libri. Confermi?
E’ vero. Devolvo in beneficenza i proventi della vendita dei miei libri durante le presentazioni. Scherzando, chiamo questa mia scelta “la ricaduta pratica della poesia”. Sono poco impegnata nel sociale; pertanto, cerco in questo modo di dare il mio piccolo contributo per aiutare coloro che hanno bisogno devolvendo il denaro raccolto ad associazioni umanitarie.
Parliamo dell’altra tua passione: il mare. Tu sei ricercatrice presso il CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche). Ti occupi di biologia marina. E’ così?
Sì. Sin da quando frequentavo il liceo pensavo che mi sarebbe piaciuto lavorare nel campo della ricerca come biologa marina. Sono stata fortunata, sono riuscita a coronare il mio sogno.
Scherzando, ami dire: “Il mare è il mio liquido amniotico”. Oppure: “Nelle mie vene scorre acqua di mare, non sangue”. Ed infine: “Quando penso al mare, penso ad un innamorato”. C’è un legame forte, direi indissolubile… O no?
Il mare fa parte della mia vita sin da quando avevo pochi mesi. Posso dire di lavorare sul mare, con il mare e per il mare. Il mare è per me fonte di svago e d’ispirazione poetica. Ho ereditato questa passione per il mare dai miei genitori, in particolare da mio padre che, pur essendo medico, era un ottimo “uomo di mare”. Nella mia famiglia di origine abbiamo sempre avuto barche da diporto e ancora oggi io e mio marito possediamo un cabinato di quasi undici metri di lunghezza che governo in piena autonomia.
So che per la tua peculiarità di Ricercatore-Poeta, il Consiglio Nazionale delle Ricerche, nell’ambito delle celebrazioni dei 90 anni dell’Ente, ti ha dedicato un video pubblicato sulla Web Tv del CNR. E’ vero?
E’ verissimo ed è stata per me una bellissima sorpresa e una grande soddisfazione. I colleghi, incaricati di organizzare le celebrazioni del novantennale dell’ente, cercavano ricercatori che si distinguessero per qualche hobby particolare, così sono stata individuata io in quanto poetessa.
Da fonti qualificate, so che hai iniziato a comporre poesie all’età di quattordici anni. Ricordi la tua prima lirica?
Sinceramente non la ricordo. Ma, poiché sono sempre stata attratta dalla molteplicità della bellezza della natura e dei suoi fenomeni, bellezza intesa non solo come paesaggi ma anche come varietà di forme e di colori degli esseri viventi, posso presupporre di aver scritto la mia prima poesia ispirandomi alla natura.
Quale poesia di altri avresti voluto scrivere tu e perché?
Vorrei essere l’autore di “Alle fronde dei salici” di Salvatore Quasimodo e di “Meriggiare pallido e assorto” di Eugenio Montale perché le “sento mie”. Di entrambe condivido il significato e il significante. Della prima ammiro la capacità di Quasimodo di fare proprio il dolore del popolo italiano e di renderlo mirabilmente con espressioni iconiche di potente efficacia che s’imprimono nella mente e nel cuore di chi legge.
E dell’altra?
Di “Meriggiare pallido e assorto” ho sempre apprezzato la capacità di Montale di “sentire con triste meraviglia”, in uno splendido pomeriggio assolato, la difficoltà di vivere (com’è tutta la vita e il suo travaglio / in questo seguitare una muraglia / che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia), il “male di vivere”, da lui denunciato in altre sue liriche, e che io stessa spesso percepisco nella bellezza della natura, con la stessa dolorosa meraviglia dell’autore.
Chi sono i tuoi poeti e scrittori preferiti?
Sì. Sin da quando frequentavo il liceo pensavo che mi sarebbe piaciuto lavorare nel campo della ricerca come biologa marina. Sono stata fortunata, sono riuscita a coronare il mio sogno.
Scherzando, ami dire: “Il mare è il mio liquido amniotico”. Oppure: “Nelle mie vene scorre acqua di mare, non sangue”. Ed infine: “Quando penso al mare, penso ad un innamorato”. C’è un legame forte, direi indissolubile… O no?
Il mare fa parte della mia vita sin da quando avevo pochi mesi. Posso dire di lavorare sul mare, con il mare e per il mare. Il mare è per me fonte di svago e d’ispirazione poetica. Ho ereditato questa passione per il mare dai miei genitori, in particolare da mio padre che, pur essendo medico, era un ottimo “uomo di mare”. Nella mia famiglia di origine abbiamo sempre avuto barche da diporto e ancora oggi io e mio marito possediamo un cabinato di quasi undici metri di lunghezza che governo in piena autonomia.
So che per la tua peculiarità di Ricercatore-Poeta, il Consiglio Nazionale delle Ricerche, nell’ambito delle celebrazioni dei 90 anni dell’Ente, ti ha dedicato un video pubblicato sulla Web Tv del CNR. E’ vero?
E’ verissimo ed è stata per me una bellissima sorpresa e una grande soddisfazione. I colleghi, incaricati di organizzare le celebrazioni del novantennale dell’ente, cercavano ricercatori che si distinguessero per qualche hobby particolare, così sono stata individuata io in quanto poetessa.
Da fonti qualificate, so che hai iniziato a comporre poesie all’età di quattordici anni. Ricordi la tua prima lirica?
Sinceramente non la ricordo. Ma, poiché sono sempre stata attratta dalla molteplicità della bellezza della natura e dei suoi fenomeni, bellezza intesa non solo come paesaggi ma anche come varietà di forme e di colori degli esseri viventi, posso presupporre di aver scritto la mia prima poesia ispirandomi alla natura.
Quale poesia di altri avresti voluto scrivere tu e perché?
Vorrei essere l’autore di “Alle fronde dei salici” di Salvatore Quasimodo e di “Meriggiare pallido e assorto” di Eugenio Montale perché le “sento mie”. Di entrambe condivido il significato e il significante. Della prima ammiro la capacità di Quasimodo di fare proprio il dolore del popolo italiano e di renderlo mirabilmente con espressioni iconiche di potente efficacia che s’imprimono nella mente e nel cuore di chi legge.
E dell’altra?
Di “Meriggiare pallido e assorto” ho sempre apprezzato la capacità di Montale di “sentire con triste meraviglia”, in uno splendido pomeriggio assolato, la difficoltà di vivere (com’è tutta la vita e il suo travaglio / in questo seguitare una muraglia / che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia), il “male di vivere”, da lui denunciato in altre sue liriche, e che io stessa spesso percepisco nella bellezza della natura, con la stessa dolorosa meraviglia dell’autore.
Chi sono i tuoi poeti e scrittori preferiti?
Oltre ai due già citati, i poeti con i quali mi sono sempre sentita in sintonia per quanto attiene alla percezione del dolore e alla capacità di rendere lo stato d’animo che esso causa, abilità che rende il dolore individuale dolore cosmico, sono due: Giacomo Leopardi e Giuseppe Ungaretti.
Perché?
Il primo, da me molto amato sin da quando ero adolescente, mi ha sempre trasmesso con i suoi versi il profondo, angoscioso dolore che ha dato origine alla sua poesia, dolore dovuto alla perdita delle illusioni e alla conseguente fatica di vivere senza più alcuna speranza, il che portò Leopardi all'elaborazione del pessimismo cosmico. Tra le tante opere, la sua lirica a me più cara è "Canto notturno di un pastore errante dell'Asia". In quelle domande accorate, rivolte alla luna, traspare tutto il dolore dell'uomo solo con la sua disperazione (sensazione che ahimè ho provato anch'io diverse volte!), uomo tanto solo da chiedere aiuto alla luna stessa, per comprendere non soltanto il perché dell’insoddisfacente condizione umana ma, anche e soprattutto, il significato della vita. E il suo dolore l'ho sempre percepito come tangibile, un dolore irrimediabile, sfociato nella disperazione dell'ultimo verso: "E' funesto a chi nasce il dì natale". Ho sempre amato molto quel dialogo-soliloquio con la luna, che l'autore percepisce distante e indifferente alla condizione umana; eppure, tanta è la sua disperata solitudine, che egli arriva a personificarla, pur di poter dialogare con essa.
E per Ungaretti?
Per Ungaretti la comune percezione del dolore è differente. Egli è il soldato in trincea che può morire da un momento all'altro ("Si sta come d'autunno sugli alberi le foglie"), che soffre per le atroci inutili morti che tuttavia, paradossalmente, gli fanno apprezzare la vita e l'amore ("Non sono mai stato / tanto / attaccato alla vita" da "Veglia"). Due percezioni del dolore completamente differenti tra loro anche per genesi, ma che sento molto vicine alla mia, in quanto, sia nel dipanarsi quotidiano della sua vicenda terrena sia durante eventi particolari, quali le guerre, l'uomo si trova spesso in balia di una sofferenza spirituale che non riesce a fronteggiare e che vive, a volte, in disperata solitudine.
E tra gli scrittori?
Tra gli scrittori amo in particolar modo D’Annunzio e Pirandello anche se la loro prosa è molto differente per contenuti e stile.
Qual è l’ultimo libro che hai letto?
Recentemente ho letto i libri “La masseria delle allodole” e “La strada di Smirne” di Antonia Arslan, dono di mia figlia, la quale sapeva che desideravo documentarmi sul genocidio del popolo Armeno.
Anch’io ho letto “La masseria delle allodole”. Una cara amica veneta mi regalò il libro, con una dedica della scrittrice. Che tipo di musica ascolti?
Non ascolto quasi mai musica ma, in presenza delle condizioni ideali, amo ascoltare le composizioni di cantautori che hanno “segnato” la mia adolescenza, Lucio Battisti in primis.
Qual è il tuo principale difetto?
L’iracondia. Sono “infiammabile” e riesco a controllarmi con grande difficoltà… ahimé!
E la tua migliore virtù?
Non mi è facile “individuare” una mia virtù. Ritengo, anche sulla base di quello che dicono gli altri di me, di essere generosa; pare che io abbia una notevole disponibilità a dare sia sul piano morale che pratico.
Infine, quale messaggio consegni ai lettori della versione online del nostro periodico d’informazione La Voce del Nisseno?
Ai lettori de La Voce del Nisseno suggerisco di leggere, di leggere sempre, di leggere di tutto, di cambiare genere, di provare anche ad accostarsi alla poesia. Non si può dire che qualcosa non piace, se non la si conosce. La lettura apre la mente e il cuore, amplia gli orizzonti geografici e quelli dell’anima, avvicina i popoli, aiuta a conoscersi, a superare le differenze e le diffidenze, favorisce la condivisione.
MICHELE BRUCCHERI
Perché?
Il primo, da me molto amato sin da quando ero adolescente, mi ha sempre trasmesso con i suoi versi il profondo, angoscioso dolore che ha dato origine alla sua poesia, dolore dovuto alla perdita delle illusioni e alla conseguente fatica di vivere senza più alcuna speranza, il che portò Leopardi all'elaborazione del pessimismo cosmico. Tra le tante opere, la sua lirica a me più cara è "Canto notturno di un pastore errante dell'Asia". In quelle domande accorate, rivolte alla luna, traspare tutto il dolore dell'uomo solo con la sua disperazione (sensazione che ahimè ho provato anch'io diverse volte!), uomo tanto solo da chiedere aiuto alla luna stessa, per comprendere non soltanto il perché dell’insoddisfacente condizione umana ma, anche e soprattutto, il significato della vita. E il suo dolore l'ho sempre percepito come tangibile, un dolore irrimediabile, sfociato nella disperazione dell'ultimo verso: "E' funesto a chi nasce il dì natale". Ho sempre amato molto quel dialogo-soliloquio con la luna, che l'autore percepisce distante e indifferente alla condizione umana; eppure, tanta è la sua disperata solitudine, che egli arriva a personificarla, pur di poter dialogare con essa.
E per Ungaretti?
Per Ungaretti la comune percezione del dolore è differente. Egli è il soldato in trincea che può morire da un momento all'altro ("Si sta come d'autunno sugli alberi le foglie"), che soffre per le atroci inutili morti che tuttavia, paradossalmente, gli fanno apprezzare la vita e l'amore ("Non sono mai stato / tanto / attaccato alla vita" da "Veglia"). Due percezioni del dolore completamente differenti tra loro anche per genesi, ma che sento molto vicine alla mia, in quanto, sia nel dipanarsi quotidiano della sua vicenda terrena sia durante eventi particolari, quali le guerre, l'uomo si trova spesso in balia di una sofferenza spirituale che non riesce a fronteggiare e che vive, a volte, in disperata solitudine.
E tra gli scrittori?
Tra gli scrittori amo in particolar modo D’Annunzio e Pirandello anche se la loro prosa è molto differente per contenuti e stile.
Qual è l’ultimo libro che hai letto?
Recentemente ho letto i libri “La masseria delle allodole” e “La strada di Smirne” di Antonia Arslan, dono di mia figlia, la quale sapeva che desideravo documentarmi sul genocidio del popolo Armeno.
Anch’io ho letto “La masseria delle allodole”. Una cara amica veneta mi regalò il libro, con una dedica della scrittrice. Che tipo di musica ascolti?
Non ascolto quasi mai musica ma, in presenza delle condizioni ideali, amo ascoltare le composizioni di cantautori che hanno “segnato” la mia adolescenza, Lucio Battisti in primis.
Qual è il tuo principale difetto?
L’iracondia. Sono “infiammabile” e riesco a controllarmi con grande difficoltà… ahimé!
E la tua migliore virtù?
Non mi è facile “individuare” una mia virtù. Ritengo, anche sulla base di quello che dicono gli altri di me, di essere generosa; pare che io abbia una notevole disponibilità a dare sia sul piano morale che pratico.
Infine, quale messaggio consegni ai lettori della versione online del nostro periodico d’informazione La Voce del Nisseno?
Ai lettori de La Voce del Nisseno suggerisco di leggere, di leggere sempre, di leggere di tutto, di cambiare genere, di provare anche ad accostarsi alla poesia. Non si può dire che qualcosa non piace, se non la si conosce. La lettura apre la mente e il cuore, amplia gli orizzonti geografici e quelli dell’anima, avvicina i popoli, aiuta a conoscersi, a superare le differenze e le diffidenze, favorisce la condivisione.
MICHELE BRUCCHERI