Commento critico a L’Eco dei sette cristalli di Michelangelo Volpe
E’ scrittore dotato di fervida fantasia, Michelangelo Volpe. I suoi romanzi sono difficilmente ascrivibili a un genere letterario, ma si avvicinano al mystery di tipo poliziesco. Iniziano sempre con messaggi anonimi, enigmatici, difficilmente decifrabili, che incuriosiscono il lettore e lo spingono a una lettura compulsiva, stuzzicandolo a decifrare rebus, indovinelli, facendo leva sulla sua capacità di fare collegamenti fra avvenimenti e particolari anche molto distanti fra loro.
Quello che presentiamo oggi è la continuazione de “L’inverno che vide il mandorlo in fiore”, nel quale si narra del furto del prezioso topazio custodito presso il Museo Diocesano a Taranto.
La narrazione è una versione dell’inferno dantesco della Divina Commedia, rivisitata e adattata ai nostri giorni, priva degli imbarazzanti riferimenti a fatti e persone note. Senza voler rivelare la trama e togliere al lettore il gusto della lettura, i personaggi principali sono legati ai “peccati di incontinenza”, che corrispondono ai sette vizi capitali; definiti di incontinenza poiché la mente ha ceduto agli istinti primordiali e non ha saputo dominare il corpo e resistere alle tentazioni.
Anche la scelta delle punizioni si rifanno alla legge del contrappasso, come nella famosa cantica: i peccatori sono colpiti da una punizione che è in opposizione o in analogia alla loro colpa.
A somiglianza della prima delle tre cantiche della Divina Commedia, il romanzo è costellato da misteriosi testi poetici in rima, dal significato più o meno oscuro, che ricordano il celeberrimo "Pape Satàn, pape Satàn aleppe" di Dante Alighieri che introduce al Canto VII dell'Inferno.
La vicenda si svolge nell’Italia meridionale, in Puglia, Basilicata e Calabria, nel 2020, nel pieno del lockdown necessario per arginare la pandemia da COVID 19, ma sono frequenti i rimandi al 2015, quando si sono svolti i fatti narrati nel romanzo “L’inverno che vide il mandorlo in fiore”.
E’ una costante narrativa dell’autore ambientare le sue vicende solitamente tra Puglia e Basilicata, dato che egli vive nella splendida Valle d’Itria e lavora a Taranto e a Potenza. Nei suoi romanzi egli manifesta l’amore per queste due regioni, descrivendone paesaggi e tradizioni, anche culinarie. In questo romanzo una scena è ambientata lungo le suggestive rive del Mar Piccolo di Taranto, nella leggiadra Valle d’Itria, nelle affascinanti gravine pugliesi.
Al di là della trama, anche in questo romanzo Michelangelo Volpe, offre al lettore numerosi spunti di riflessione, invitandolo a un esame di coscienza affinché non cada negli errori dei suoi personaggi. E tuttavia l’Autore non si erge mai a giudice castigatore; è comprensivo, tende a giustificare i “peccatori” cercando attenuanti ai loro peccati nei traumi infantili e adolescenziali. Le “punizioni”, inoltre, non sono mai fine a se stesse ma diventano, piuttosto, occasioni affinché essi possano comprendere gli errori che hanno macchiato la loro vita e possano redimersi. Così egli giustifica anche il tradimento coniugale, se esso è conseguenza di solitudine, di disperato bisogno d’amore.
Essendo la vicenda ambientata quando la pandemia imperversava, non mancano le occasioni di riflessione su quanto abbiamo perso allora e come essa, pur nella sua tragicità, ci abbia permesso di rivalutare e apprezzare ciò che abbiamo sempre avuto e davamo per scontato.
Importante in questo romanzo è il riconoscimento del potere salvifico dell’arte. Ce ne siamo accorti proprio in questo periodo di pandemia, quando abbiamo perso tutte le nostre certezze.
L’arte ci ha permesso di stare vicini quando siamo stati costretti alla lontananza, quando tutto intorno veniva messo in discussione. Nei giorni più duri, la bellezza è stata evasione e rifugio. A riprova di ciò, sono stati moltissimi i musei che hanno messo a disposizione le proprie collezioni alle quali poter accedere online, da casa nostra. E così, come per i protagonisti, l’arte è terapia e, quindi, salvezza. Le arti ci conducono nel regno ideale, l’unico in cui possiamo trovare pace, felicità e amore assoluti.
Dostoevskij scrisse che “la bellezza salverà il mondo”; forse non salverà il mondo intero ma se anche uno solo di noi verrà aiutato dalla bellezza che deriva dall’arte, allora forse l’effetto salvifico della bellezza potrà davvero considerarsi reale. E’ la morale del romanzo; è proprio per mezzo delle loro capacità artistiche che i protagonisti si salveranno.
La narrazione è arricchita da foto e video (visibili leggendo i QR Code), che rafforzano il messaggio drammatizzando il testo, così coinvolgendo piacevolmente il lettore che diventa anche spettatore. Tale inserimento rimanda all’inclinazione di regista dell’Autore che ha messo in scena sue precedenti opere.
Ester Cecere
E’ scrittore dotato di fervida fantasia, Michelangelo Volpe. I suoi romanzi sono difficilmente ascrivibili a un genere letterario, ma si avvicinano al mystery di tipo poliziesco. Iniziano sempre con messaggi anonimi, enigmatici, difficilmente decifrabili, che incuriosiscono il lettore e lo spingono a una lettura compulsiva, stuzzicandolo a decifrare rebus, indovinelli, facendo leva sulla sua capacità di fare collegamenti fra avvenimenti e particolari anche molto distanti fra loro.
Quello che presentiamo oggi è la continuazione de “L’inverno che vide il mandorlo in fiore”, nel quale si narra del furto del prezioso topazio custodito presso il Museo Diocesano a Taranto.
La narrazione è una versione dell’inferno dantesco della Divina Commedia, rivisitata e adattata ai nostri giorni, priva degli imbarazzanti riferimenti a fatti e persone note. Senza voler rivelare la trama e togliere al lettore il gusto della lettura, i personaggi principali sono legati ai “peccati di incontinenza”, che corrispondono ai sette vizi capitali; definiti di incontinenza poiché la mente ha ceduto agli istinti primordiali e non ha saputo dominare il corpo e resistere alle tentazioni.
Anche la scelta delle punizioni si rifanno alla legge del contrappasso, come nella famosa cantica: i peccatori sono colpiti da una punizione che è in opposizione o in analogia alla loro colpa.
A somiglianza della prima delle tre cantiche della Divina Commedia, il romanzo è costellato da misteriosi testi poetici in rima, dal significato più o meno oscuro, che ricordano il celeberrimo "Pape Satàn, pape Satàn aleppe" di Dante Alighieri che introduce al Canto VII dell'Inferno.
La vicenda si svolge nell’Italia meridionale, in Puglia, Basilicata e Calabria, nel 2020, nel pieno del lockdown necessario per arginare la pandemia da COVID 19, ma sono frequenti i rimandi al 2015, quando si sono svolti i fatti narrati nel romanzo “L’inverno che vide il mandorlo in fiore”.
E’ una costante narrativa dell’autore ambientare le sue vicende solitamente tra Puglia e Basilicata, dato che egli vive nella splendida Valle d’Itria e lavora a Taranto e a Potenza. Nei suoi romanzi egli manifesta l’amore per queste due regioni, descrivendone paesaggi e tradizioni, anche culinarie. In questo romanzo una scena è ambientata lungo le suggestive rive del Mar Piccolo di Taranto, nella leggiadra Valle d’Itria, nelle affascinanti gravine pugliesi.
Al di là della trama, anche in questo romanzo Michelangelo Volpe, offre al lettore numerosi spunti di riflessione, invitandolo a un esame di coscienza affinché non cada negli errori dei suoi personaggi. E tuttavia l’Autore non si erge mai a giudice castigatore; è comprensivo, tende a giustificare i “peccatori” cercando attenuanti ai loro peccati nei traumi infantili e adolescenziali. Le “punizioni”, inoltre, non sono mai fine a se stesse ma diventano, piuttosto, occasioni affinché essi possano comprendere gli errori che hanno macchiato la loro vita e possano redimersi. Così egli giustifica anche il tradimento coniugale, se esso è conseguenza di solitudine, di disperato bisogno d’amore.
Essendo la vicenda ambientata quando la pandemia imperversava, non mancano le occasioni di riflessione su quanto abbiamo perso allora e come essa, pur nella sua tragicità, ci abbia permesso di rivalutare e apprezzare ciò che abbiamo sempre avuto e davamo per scontato.
Importante in questo romanzo è il riconoscimento del potere salvifico dell’arte. Ce ne siamo accorti proprio in questo periodo di pandemia, quando abbiamo perso tutte le nostre certezze.
L’arte ci ha permesso di stare vicini quando siamo stati costretti alla lontananza, quando tutto intorno veniva messo in discussione. Nei giorni più duri, la bellezza è stata evasione e rifugio. A riprova di ciò, sono stati moltissimi i musei che hanno messo a disposizione le proprie collezioni alle quali poter accedere online, da casa nostra. E così, come per i protagonisti, l’arte è terapia e, quindi, salvezza. Le arti ci conducono nel regno ideale, l’unico in cui possiamo trovare pace, felicità e amore assoluti.
Dostoevskij scrisse che “la bellezza salverà il mondo”; forse non salverà il mondo intero ma se anche uno solo di noi verrà aiutato dalla bellezza che deriva dall’arte, allora forse l’effetto salvifico della bellezza potrà davvero considerarsi reale. E’ la morale del romanzo; è proprio per mezzo delle loro capacità artistiche che i protagonisti si salveranno.
La narrazione è arricchita da foto e video (visibili leggendo i QR Code), che rafforzano il messaggio drammatizzando il testo, così coinvolgendo piacevolmente il lettore che diventa anche spettatore. Tale inserimento rimanda all’inclinazione di regista dell’Autore che ha messo in scena sue precedenti opere.
Ester Cecere