“San Martéin” di Vander Penazzi (Pegasus Edition, Cattolica, Rimini, 2017)
Ancora una volta, come nelle sue precedenti opere, Vander Penazzi si fa “voce della storia” tratteggiando, nel suo ultimo romanzo “San Martéin”, uno spaccato delle vicende dell’Emilia Romagna e dei suoi abitanti, dai primi del ‘900 sino al dopoguerra del 1946. Lo fa attraverso il racconto del suo nonno materno con un narrare semplice, lineare, talvolta ironico ma non distaccato poiché, attraverso le sue parole, si percepisce nettamente la sua partecipazione alle difficoltà quotidiane della gente di cui parla; così come si intuisce, tramite un deciso tono di rimprovero, la condanna delle ingiustizie. L’Autore inizia il suo racconto parlandoci dei primi scioperi dei mezzadri contro i latifondisti:
“In quel periodo, le condizioni di vita della quasi totalità della popolazione… avevano raggiunto limiti non più sopportabili. Una classe latifondista particolarmente arrogante… non intendeva minimamente prendere in considerazione le richieste dei lavoratori. L’unica possibilità di farsi ascoltare era, per questi ultimi, quella dello sciopero”.
Ci narra, quindi, quella che ricorda molto la lotta di Davide contro Golia, della battaglia di povere genti, che vivevano in capanni meno confortevoli delle stalle e spesso costrette a saltare il pasto quotidiano, contro proprietari terrieri spietati che avevano dalla loro parte, ovviamente, anche le forze dell’ordine. Ci presenta, con velata commozione, la solidarietà tra queste genti che si aiutavano come potevano, dividendo lo scarso e povero cibo che possedevano per sfamarsi, il loro misero alloggio per ripararsi dal freddo e fornendo, quando occorreva, rifugio agli scioperanti, rischiando la loro stessa vita. Il merito dell’Autore è quello di farci comprendere le ragioni, i motivi imprescindibili che hanno reso ineludibili gli scioperi attraverso le accurate, particolareggiate descrizioni delle misere condizioni di vita di un popolo che, in un determinato momento storico, si è accorto di non avere altra scelta.
Sapientemente, la Storia si intreccia con la storia di alcune famiglie, le cui vicende vengono seguite per più generazioni. I grandi avvenimenti storici (la prima guerra mondiale, l’ascesa del fascismo, la campagna d’Etiopia, la seconda guerra mondiale, la Resistenza), pur facendo da sfondo alle vicende personali dei protagonisti, sono in realtà protagonisti essi stessi. La campagna d’Etiopia è personaggio principale insieme al soldato che, scampato al nemico, vive per venti anni nel deserto prima di fare ritorno nella sua amata terra!
L’Autore racconta, come se stesse parlando a dei ragazzini tramite un linguaggio semplice ma non semplicistico, fatti e vicende spesso sconosciuti, perché trascurati dai programmi scolastici ministeriali di storia per “mancanza di tempo” e mai presentati in maniera organicamente temporale a quelle generazioni, come la mia, che vivono in una nazione che di quegli avvenimenti è il frutto.
Tuttavia, un libro di storia ci presenterebbe solo e soltanto, come è giusto che sia, del resto, il succedersi degli avvenimenti, con spiegazioni che si spera siano super partes.
Vander Penazzi, invece, ci fa soffrire con i protagonisti di quei periodi storici, ci fa patire il freddo, la fame, ci fa parteggiare, ci fa temere, ci fa fremere di sdegno, ci fa sperare e, nonostante tutto, ogni tanto gioire!
Un bel libro davvero, al quale si perdona qualche refuso. Un libro che dovrebbe essere adottato nelle scuole di secondo grado.
Dr.ssa Ester Cecere, ricercatrice del Consiglio Nazionale delle Ricerche.
Taranto, 2 gennaio 2018
Ancora una volta, come nelle sue precedenti opere, Vander Penazzi si fa “voce della storia” tratteggiando, nel suo ultimo romanzo “San Martéin”, uno spaccato delle vicende dell’Emilia Romagna e dei suoi abitanti, dai primi del ‘900 sino al dopoguerra del 1946. Lo fa attraverso il racconto del suo nonno materno con un narrare semplice, lineare, talvolta ironico ma non distaccato poiché, attraverso le sue parole, si percepisce nettamente la sua partecipazione alle difficoltà quotidiane della gente di cui parla; così come si intuisce, tramite un deciso tono di rimprovero, la condanna delle ingiustizie. L’Autore inizia il suo racconto parlandoci dei primi scioperi dei mezzadri contro i latifondisti:
“In quel periodo, le condizioni di vita della quasi totalità della popolazione… avevano raggiunto limiti non più sopportabili. Una classe latifondista particolarmente arrogante… non intendeva minimamente prendere in considerazione le richieste dei lavoratori. L’unica possibilità di farsi ascoltare era, per questi ultimi, quella dello sciopero”.
Ci narra, quindi, quella che ricorda molto la lotta di Davide contro Golia, della battaglia di povere genti, che vivevano in capanni meno confortevoli delle stalle e spesso costrette a saltare il pasto quotidiano, contro proprietari terrieri spietati che avevano dalla loro parte, ovviamente, anche le forze dell’ordine. Ci presenta, con velata commozione, la solidarietà tra queste genti che si aiutavano come potevano, dividendo lo scarso e povero cibo che possedevano per sfamarsi, il loro misero alloggio per ripararsi dal freddo e fornendo, quando occorreva, rifugio agli scioperanti, rischiando la loro stessa vita. Il merito dell’Autore è quello di farci comprendere le ragioni, i motivi imprescindibili che hanno reso ineludibili gli scioperi attraverso le accurate, particolareggiate descrizioni delle misere condizioni di vita di un popolo che, in un determinato momento storico, si è accorto di non avere altra scelta.
Sapientemente, la Storia si intreccia con la storia di alcune famiglie, le cui vicende vengono seguite per più generazioni. I grandi avvenimenti storici (la prima guerra mondiale, l’ascesa del fascismo, la campagna d’Etiopia, la seconda guerra mondiale, la Resistenza), pur facendo da sfondo alle vicende personali dei protagonisti, sono in realtà protagonisti essi stessi. La campagna d’Etiopia è personaggio principale insieme al soldato che, scampato al nemico, vive per venti anni nel deserto prima di fare ritorno nella sua amata terra!
L’Autore racconta, come se stesse parlando a dei ragazzini tramite un linguaggio semplice ma non semplicistico, fatti e vicende spesso sconosciuti, perché trascurati dai programmi scolastici ministeriali di storia per “mancanza di tempo” e mai presentati in maniera organicamente temporale a quelle generazioni, come la mia, che vivono in una nazione che di quegli avvenimenti è il frutto.
Tuttavia, un libro di storia ci presenterebbe solo e soltanto, come è giusto che sia, del resto, il succedersi degli avvenimenti, con spiegazioni che si spera siano super partes.
Vander Penazzi, invece, ci fa soffrire con i protagonisti di quei periodi storici, ci fa patire il freddo, la fame, ci fa parteggiare, ci fa temere, ci fa fremere di sdegno, ci fa sperare e, nonostante tutto, ogni tanto gioire!
Un bel libro davvero, al quale si perdona qualche refuso. Un libro che dovrebbe essere adottato nelle scuole di secondo grado.
Dr.ssa Ester Cecere, ricercatrice del Consiglio Nazionale delle Ricerche.
Taranto, 2 gennaio 2018