RECENSIONE DI DOMENICO PISANA
La silloge poetica “AVANZAVA SETTEMBRE” di Ester Cecere. Grazie del dono
Quel che rimane, a lettura ultimata, della raccolta di Ester Cecere, “Avanzava Settembre”, è una nostalgica e delicata meditazione sulla condizione umana che si dibatte dentro una costante circolarità ermeneutica tra passato e presente, facendosi rappresentazione e lezione etica.
E’ questa l'impressione immediata che nasce dai versi della silloge, ove la poetessa si rivela e nel contempo si chiude dentro una costruzione d’immagini e di metafore da cui trasudano temi profondi, verità eterne, “i sogni e desideri” tessuti dalla vita, “le giovanili illusioni” annegate nella storia, l'attesa di un Eden di quiete, la volontà di lotta per la verità( “Più non affido desideri e speranze /a perfidi ingannevoli lumi”) , tutti dati che sorgono prepotenti da forme armoniose e immagini di intensa efficacia visiva.
Il giudizio mentale della poetessa squarcia il paesaggio reale e quello della memoria liberando lo stato interiore, mentre la parola, alleggerendosi, si allarga alla comprensione del suo “hic et nunc”. Nello spazio autobiografico di una “io poetico” in tempesta, l'animo dolorante si rasserena nella speranza:
“…Attendi lo sguardo fugace
che la bellezza ancora coglie
mentre di speranza regali
l’intramontabile messaggio”.
Spazio descrittivo e spazio temporale appaiono, nella versificazione, funzionali al procedere dall’amaro della sofferenza alla primavera e alla rinascita; il tempo presente, l’impulso della memoria, la condizione dell’attesa che attraversano la silloge, consegnano al lettore la voglia di vita che è nella anima della poetessa, e che insegue, nonostante “Le cadute in forre annunciate /Le scivolate per buche impreviste/Le arrampicate solitarie e piante/Le risalite dello spasmo al limite”, l'ebrezza delle note sui tasti del cuore.
La Cecere mostra di saper riprendere il tempo della vita nella sua antologia di bontà e gioia, amore e pensosa solidarietà; si stringe attorno alle perplesse stagioni del vento che corre ai porti delle miserie e dei dolori( Si leggano “Non chiedermi perché”, “Specchietti per le allodole”, “Navigo a vista”, “Invidiosa Proserpina”) e il suo poetare è nell'onda dei casi, o dolci o amari; nel disagio degli accadimenti che divergono al correre delle sofferenze e delle violenze; nella trasfigurazione dei sentieri sgraziati nella liquida incertezza delle malinconie che dipingono tremolii di attimi e di attese.
La lingua, di cui fa uso la poetessa, si compie gradatamente, a stadi. Cambia d'espressività nella sua evoluzione, ed è di volta in volta ampia, infittita, discorsiva, misurata a seconda del linguaggio ora impressivo e dedotto dalla realtà, ora controllato e armonico per schiettezza di immagini.
V’è nei versi l’attimo dei suoi giorni, una tensione di affetti ed emozioni mai paga, una visione contemplativa, intesa come vita delle immagini e come costante proiezione verso l'anima degli accadimenti quotidiani. Dunque, una poesia di vita, di sapore umano, di intensa colloquialità, spontanea nelle scelte e legata ad esperienze vissute, intrisa di verità, concreta nell'atto creativo, intensa di notazioni che pervadono di vibrante dinamismo le modulazioni inventive.
Ester Cecere insomma è una poetessa che – e prendo a prestito Milan Kundera – “disegna il proprio autoritratto; ma poiché nessun ritratto è fedele, possiamo anche dire che con le poesie ella ritocca la propria immagine”.
Complimenti, Ester!
La silloge poetica “AVANZAVA SETTEMBRE” di Ester Cecere. Grazie del dono
Quel che rimane, a lettura ultimata, della raccolta di Ester Cecere, “Avanzava Settembre”, è una nostalgica e delicata meditazione sulla condizione umana che si dibatte dentro una costante circolarità ermeneutica tra passato e presente, facendosi rappresentazione e lezione etica.
E’ questa l'impressione immediata che nasce dai versi della silloge, ove la poetessa si rivela e nel contempo si chiude dentro una costruzione d’immagini e di metafore da cui trasudano temi profondi, verità eterne, “i sogni e desideri” tessuti dalla vita, “le giovanili illusioni” annegate nella storia, l'attesa di un Eden di quiete, la volontà di lotta per la verità( “Più non affido desideri e speranze /a perfidi ingannevoli lumi”) , tutti dati che sorgono prepotenti da forme armoniose e immagini di intensa efficacia visiva.
Il giudizio mentale della poetessa squarcia il paesaggio reale e quello della memoria liberando lo stato interiore, mentre la parola, alleggerendosi, si allarga alla comprensione del suo “hic et nunc”. Nello spazio autobiografico di una “io poetico” in tempesta, l'animo dolorante si rasserena nella speranza:
“…Attendi lo sguardo fugace
che la bellezza ancora coglie
mentre di speranza regali
l’intramontabile messaggio”.
Spazio descrittivo e spazio temporale appaiono, nella versificazione, funzionali al procedere dall’amaro della sofferenza alla primavera e alla rinascita; il tempo presente, l’impulso della memoria, la condizione dell’attesa che attraversano la silloge, consegnano al lettore la voglia di vita che è nella anima della poetessa, e che insegue, nonostante “Le cadute in forre annunciate /Le scivolate per buche impreviste/Le arrampicate solitarie e piante/Le risalite dello spasmo al limite”, l'ebrezza delle note sui tasti del cuore.
La Cecere mostra di saper riprendere il tempo della vita nella sua antologia di bontà e gioia, amore e pensosa solidarietà; si stringe attorno alle perplesse stagioni del vento che corre ai porti delle miserie e dei dolori( Si leggano “Non chiedermi perché”, “Specchietti per le allodole”, “Navigo a vista”, “Invidiosa Proserpina”) e il suo poetare è nell'onda dei casi, o dolci o amari; nel disagio degli accadimenti che divergono al correre delle sofferenze e delle violenze; nella trasfigurazione dei sentieri sgraziati nella liquida incertezza delle malinconie che dipingono tremolii di attimi e di attese.
La lingua, di cui fa uso la poetessa, si compie gradatamente, a stadi. Cambia d'espressività nella sua evoluzione, ed è di volta in volta ampia, infittita, discorsiva, misurata a seconda del linguaggio ora impressivo e dedotto dalla realtà, ora controllato e armonico per schiettezza di immagini.
V’è nei versi l’attimo dei suoi giorni, una tensione di affetti ed emozioni mai paga, una visione contemplativa, intesa come vita delle immagini e come costante proiezione verso l'anima degli accadimenti quotidiani. Dunque, una poesia di vita, di sapore umano, di intensa colloquialità, spontanea nelle scelte e legata ad esperienze vissute, intrisa di verità, concreta nell'atto creativo, intensa di notazioni che pervadono di vibrante dinamismo le modulazioni inventive.
Ester Cecere insomma è una poetessa che – e prendo a prestito Milan Kundera – “disegna il proprio autoritratto; ma poiché nessun ritratto è fedele, possiamo anche dire che con le poesie ella ritocca la propria immagine”.
Complimenti, Ester!