RECENSIONE A CURA DI MARIA RIZZI
Nel commentare la silloge “Come foglie in autunno” reputo doveroso partire dalla superba prefazione della Professoressa Ninny Di Stefano Busà e, in particolare, da tre righe di essa. “Audaci i nostri sensi ci indicano la rotta del cuore, che spesso percorre territori impervi, e tuttavia, continua a pulsare la vita col suo battito d’ala ferita”. Questi versi in prosa ci aiutano a orientarci nel mare delle emozioni di Ester Cecere, che in questo volume, si svuota in amore con commovente sincerità. Il testo è introdotto da un verso di Ungaretti, il titolo stesso della raccolta ricorda Ungaretti e lo spirito dell’intero lavoro echeggia il grande Poeta. Nella lirica che dà inizio alla silloge le foglie che ’si stan/ come d’autunno sugli alberi’ nella celebre lirica “Soldati”, tendono a segnare la storia di un’esistenza, di ogni esistenza, staccandosi l’una dopo l’altra e la chiusa : “Quando al suolo giungerò anch’io come le altre?” è pervasa di un’attesa dolorosa che coinvolge e sconvolge i sensi. L’intero testo ha un suo ’sentiero’. L’autrice si rintana, talvolta, in isole di ‘vaga primavera’, ma respira un tempo che è teso ad alienare l’uomo, a renderlo creatura sola. Anche gli elementi del cosmo sembrano ‘lontani e distratti’, rispetto alle fatiche dell’esistenza. Ester ci conduce nel grembo della propria storia, rivelandoci segreti, rabbie, dolori. La forza dell’oggi, che probabilmente cela dolci fragilità, fame d’amore, ha le fondamenta nelle vicende antiche. Dardo rovente la lirica “Casa in affitto (a mio a padre)”, che come molte altre, dà ulteriore senso al verso ungarettiano, anche se lo inserisce in contesti quotidiani. E il progetto artistico di Ester Cecere è articolato con una consecutio, un senso del raccontarsi in versi, che porta lontano dal comune significato che viene attribuito alle sillogi. L’autrice inserisce, una dopo l’altra, con sapienza, le tessere magnifiche e sanguigne del suo mosaico. La narrazione in versi è, a mio modesto parere, un percorso di rara difficoltà. Occorre il filo che tenga unito il ‘logos’ e in Ester tale filo sembra essere il dolore. Con l’ago della sofferenza, l’autrice ricama liriche nitide, sorvegliate, che sfuggono alla gabbia metrica, ma mostrano padronanza dell’ars poetica e capacità di sbocciare al lirismo nella fruibilità. L’arte della brevità è il connotato che esalta le doti di Ester, capace di tratteggiare in cinque versi una sublime poesia dedicata alla madre i cui ultimi versi recitano: “E troverei risposte / nel silenzio dei tuoi occhi”. Le foglie del famoso albero sono i temi ricorrenti della silloge, mai trattati in modo retorico. Vi è qualcosa nei versi dell’autrice di innovativo, oserei dire di rivoluzionario. Canta la propria vita e le esistenze dismesse, violate degli esuli, dei folli, con purezza incontaminata, concedendosi al lettore senza veli. Nessun ermetismo, nessun ricorso a metafore ‘di protezione’ o a similitudini. Liriche intense, ricche di pathos, struggenti, tese come le stelle a trafiggere la notte e a indurre alla riflessione. Si esce dall’avventura di “Come foglie in autunno” più soli e più ricchi. |
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