RECENSIONE A CURA DI MARIA RIZZI
"Come foglie in autunno" di Ester Cecere (Roma, Libreria Rinascita Agosta, 25 novembre 2012) Ester Cecere ci introduce nella sua Silloge “Come foglie in autunno” con un verso di Ungaretti: “d’un pianto solo mio non piango più”- tratto dalla lirica “Mio fiume anche tu” - e il riferimento al Poeta, 'uomo di pena', come egli stesso era solito definirsi, è il bandolo di una matassa che la mia amica srotola connotando i versi anche di significati drammatizzanti. L'immaginario di Ester, infatti, è pervaso da idee di smarrimento, aridità affettiva, nostalgia di ciò che poteva essere e non è... Le peculiarità dei suoi componimenti sono: 1) La brevità 2) La caratteristica di esprimersi al femminile 3) Il tono sofferto e ricco di pathos 4) La tendenza a comporre una narrazione unitaria in versi Ed entriamo in punta di piedi nella raccolta, dal titolo esplicativo, “Come foglie in autunno”, seguendo i battiti anarchici di due cuori: quello ungarettiano e quello della nostra Autrice. Inevitabile l'accostamento della lirica che dà il titolo all'Opera e ci guida in essa alla poesia “Soldati” del grande Poeta. –”Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie”- recitava Ungaretti, alludendo ai compagni delle trincee lungo il Carso e al loro destino segnato quasi inesorabilmente; Ester ci annuncia il timore che il fusto dell'albero della sua storia possa essere destinato a rimanere nudo di emozioni, di sorrisi, di sogni... Partendo dai punti messi in rilievo, provo a soffermarmi sulla capacità dell'Autrice di sintetizzare. Pur consapevole di iniziare dall'aspetto che solitamente si sottolinea alla fine, non avendo pretese di critica letteraria, ma di donna realmente conquistata dalla Silloge dell'Amica, sovverto gli abituali canoni e analizzo la brevità con particolare ammirazione. Non esiste difficoltà maggiore del riuscire a raccontarsi in liriche di anche soli cinque versi, mantenendo intatti il potere immaginifico, la capacità di viaggiare sul registro delle similitudini efficaci, caratterizzate da ritmo morbido e per ritmo intendo l'accezione pura del termine, dal latino rhythmu 'fluido', quindi 'che fluisce' in una successione armonica di sillabe. Non legherei il versificare di Ester all'ermetismo, in quanto le finestre del sue poetare non tendono mai a precludere la luce o a eludere i nessi logici e sintattici tradizionali. Ella arriva come fiume in piena e posa sui greti dei nostri vissuti le sue malìe, intese nel senso letterale, in quanto molti suoi versi danno la sensazione di brevi incantesimi, tesi a catturare noi lettori, come le gocce d'ambra catturano gli insetti, e le sofferenze personali e universali. La brevità è anche in perfetta assonanza con il carattere dell'Autrice, che nel quotidiano sa essere eloquente anche solo con una parola, con uno sguardo. Per quanto riguarda il timbro 'femminile' della raccolta, ho avuto sin dalla prima lettura delle liriche l'impressione che Ester tendesse ad accoglierci idealmente nel grembo, com'è tipico di molte donne. Danno, anzi diamo la vita, non necessariamente biologica, e siamo pronte a riprenderla in noi e a proteggerla fino alla fine del tempo. Cito la lirica “Casa in affitto”, dedicata al padre, nella quale la nostra amica scivola nelle pieghe di un dolore nel quale fin troppe donne possono riconoscersi: “Dalla mia vita uscisti come da una casa in affitto lo porta chiudendoti alle spalle”... e ancora: “Lasciasti me e il vissuto tuo di padre” e ancora: “Lasciasti due bimbi e il vissuto tuo di nonno...” per terminare: “come in un sepolcro ora dal mio dolore ricoperto”. La prima figura paragonabile alle foglie del titolo è quella del padre, dell'eroe dell'infanzia. Il suo scivolare altrove è fuga dal grembo. Ogni padre nel mito della crescita femminile incarna il primo amore. Il complesso di Elettra, corrispettivo femminile di quello di Edipo, ne è la spiegazione psicologica. Si manifesta tra i tre e i sei anni e, nel mancato superamento di esso, spesso subentra la cosiddetta 'fissazione': l'attrazione per il genitore è alla base del desiderio inconscio delle donne di essere salvate e protette. Ester scrive da donna anche perché a mio umile avviso, espone il fianco e si dona, come raramente gli uomini riescono a fare, anche solo per un retaggio culturale ancora difficile da superare, per il timore che la propria virilità venga sminuita dalla manifestazione pubblica dei sentimenti. Crea un'atmosfera complice con il lettore, lascia che gli stati d'animo passino senza filtri: “Gabbiano inquieto in un mare di sangue, a terre inesplorate anelo.”- versi tratti da “Gabbiano sono”-, che echeggia i “Gabbiani” di Cardarelli soprattutto per il riferimento alle 'terre inesplorate' alle quali l'Autrice 'anela', così simili, a livello contenutistico, ai versi della lirica di Cardarelli : “lo son come loro / in perpetuo volo, / la vita la sfioro / com'essi l'acqua ad acciuffare il cibo” . L'Autrice possiede, inoltre, strutture mentali complesse, profonde, tipiche anch'esse delle donne. Visita i territori dell'esistenza senza nulla concedere agli inganni pietosi. Basta pensare alla poesia “Bilancio”, che recita: “Fiele in bocca il sapore di una vita spesa in un alveare pazzo senza produrre miele”. O alla lirica “Una coperta per il mio nido”: “Come maglia si sfila quest'amore punto dopo punto giorno dopo giorno”. Di Ester va messo in rilievo il coraggio, altra dote che la caratterizza anche nel modo di rapportarsi alle persone e alle storie. E' donna diretta, vera, sanguigna. Ella non esita a mettersi in discussione, non si cela dietro lo scudo dell'universalità, presente nelle sue liriche, sin dal verso di Ungaretti scelto per introdurci nella raccolta – d’un pianto solo’mio’ non piango più -, che possono essere 'indossate' da infinite persone e restano oggettive, in quanto l'intimismo dei versi non esclude la possibilità del singolo di riconoscersi in essi. L'Autrice si racconta, ma non è piegata su se stessa. Si occupa del sociale, di tematiche esistenziali. Basta citare le liriche: “Con il burqa sull'anima” - in difesa della donna, a confermare la volontà di mostrarsi complice, di schierarsi dalla parte dei diritti negati -, o “Migranti”, che in sequenze fleshate, ci illumina sulla triste, attuale realtà dell'emigrazione. Ho parlato di tono sofferto e ricco di pathos, elencando le caratteristiche precipue della raccolta di Ester, in quanto i tasti suonati, con arpeggi dolcemente amari, mi sia concesso l'ossimoro, sono quelli del mal di vivere. Proprio come le foglie in autunno le storie si rivelano nella loro caducità. La professoressa Ninnj Di Stefano Busà nella prefazione parla di “un dolore sordo, acuto, del dolore universale, della parabola più sofferta dell’intero pianeta”, chiarendo quanto l'Autrice possieda il dono autentico di palpitare all'unisono con le creature dell'universo. Ma la sofferenza, il senso di smarrimento non si esauriscono in se stessi. Nella poetica dell'Autrice si individua il vaso di Pandora e la sua volontà nitida di sollevarne il coperchio, affinché il mal di vivere divenga terreno fertile per la Speranza. “Migliaia di sorrisi comprerei. Per le strade nella folla li regalerei. E chili di squillanti risa ché risuonino case, scuole, ospedali” - versi tratti dalla magnifica “Migliaia di sorrisi comprerei”. Al di là di ogni ferita, l'anima di Ester resta fonte sorgiva ed è dalle stesse ferite che nasce nuova forza. Passiamo ora alla capacità della nostra Poetessa di sviluppare con le sue ottanta liriche un progetto articolato con una consecutio che dia il senso del 'raccontarsi in versi'. “Come foglie in autunno” possiede la caratteristica di condurre lontano dal comune significato delle Sillogi. Ester infila una dopo l'altra le tessere superbe del suo mosaico. La narrazione in versi, di rara difficoltà, esige un filo che tenga unito il logos e nella nostra Autrice il filo atto a cucire i versi sembra essere mal di vivere. Con l'ago della solitudine, della sofferenza universale, delle ferite e della speranza Ella ricama liriche che graffiano l'anima. “Consumata /nella mia vita è l’aria... “ ...”le finestre aprirei per ossigenare il cuore” - versi tratti da “Aria consumata” o “Limone spremuto sono /senza più succo” - da “Limone”. Nel leggere le sue poesie si ha la sensazione che l'esistenza possa rivelarsi una serie di emergenze in cui passato e presente cerchino di trovare un equilibrio, anche per provare a redimere il futuro. E l'equilibrio la mia Amica lo trova forse nel “Caleidoscopio della fanciullezza”... e nella fede, intesa in senso assoluto. Non l'ombrello per ripararsi dalle sventure, ma una delle poche certezze del suo tempo. “E di fiore in fiore, di vetta in vetta, di stella in stella, ti giunga il mio incantato grazie”- Versi tratti da “Incantato grazie”, che mi sembra molto più di una preghiera. Secondo la mia teoria, discutibilissima, che le persone non siano aggettivi, ma verbi, Ester incarna perfettamente il verbo 'incatenare'. Con le sue nostalgiche malinconie, i suoi desideri, il suo coraggio è Poetessa che incatena e induce a riflettere. Maria Rizzi |
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