Non vedo, non sento e... di Ester Cecere
a cura di Luigi Paraboschi
Credo che l'imprinting a questo libro lo dia la citazione di apertura che l'autrice vi appone, ed appartiene a Chesterton che affermava:
“Comprendere non vuol dire tanto sentire con tutti quelli che sentono, ma soffrire con tutti quelli che soffrono“.
E a dire il vero di attenzione alla sofferenza in questa raccolta ve ne è moltissima.
Non c'è pagina, se si escludono le ultime, quelle da pag. 71 a 75, che si aprono maggiormente alla speranza, che non trasudi una profonda immersione dell' autrice dentro le varie sfaccettature che riguardano i troppi aspetti della vita del nostro tempo toccati dal dolore.
A molti di noi spesso sembra che il male ormai travolga tutti e che sia impossibile fargli fronte tale è la sua capacità distruttiva che spinge la nostra autrice ad affermare, parlando della festa più sacra per i Cristiani, il Natale:
“…ho un venerdì di quaresima “ (in “Non ditemi di Natale”) e in una successiva, a chiudere, sconfortata “Nessuno accoglie il Bambino“ (in “Presepe triste”).
Nessun aspetto della nostra società e dello stato di abbandono nel quale essa versa sfugge all'esame attento della poetessa:
dai nostri migranti di un tempo, agli immigrati di adesso, dai vu' cumprà, alla prostituzione di colore, dai lavavetri sugli angoli delle vie ai kamikaze, dai bambini Siriani costretti ad esperienze spesso di morte lungo avventurosi tragitti per mare ai gay emarginati dalle nostre disattenzioni, dalle spose bambine dell'oriente costrette a vendere il loro corpo a maschi prepotenti e volgari alle donne europee assassinate da uomini violenti che esse intendevano lasciare, niente del male del nostro universo, dicevamo, passa sotto silenzio in questi versi di dolorosa partecipazione.
Si potrebbe dire che questa raccolta sia un collage di disperazione, nel quale la poetessa dimostra veramente di “soffrire con tutti quelli che soffrono” ma la speranza non soffoca la vita dentro il suo cuore che la induce a scrivere questi versi dedicati ai popoli privi di libertà:
Rinasceranno le remiganti / amputate nei giorni delle notte. / Il volo riprenderemo tra raffiche di maestrale / e correnti lievi ascensionali. / Planeremo sicuri sulla dilagante azzurrità /Ancora e ancora / ci riempiremo gli occhi / delle meraviglie / di cui perdemmo la memoria. (da “Ancora in volo”)
Non tutto sembra essere perduto, afferma con un residuo di fiducia, la nostra autrice, e quindi sembra contraddire il significato del titolo della sua raccolta, assolvendo in tal modo ad uno dei compiti principali che ha la poesia, quello di testimoniare del vero ma anche di riconfortare i cuori devastati dal dolore.
Come le tre scimmiette della storia, dopo avere letto queste poesie non avremo più il diritto di affermare che “non abbiamo visto e non abbiamo sentito“ perché tutto il dolore di questi versi ci è stato versato nel cuore e nella mente, e di conseguenza dovremo per forza anche noi rinnegare il terzo diktat della narrazione che dice “non parlo“, e, per ciò dovremo testimoniare la verità al mondo allo stesso modo in cui la Cecere ha fatto, se vorremo essere veramente liberi.
a cura di Luigi Paraboschi
Credo che l'imprinting a questo libro lo dia la citazione di apertura che l'autrice vi appone, ed appartiene a Chesterton che affermava:
“Comprendere non vuol dire tanto sentire con tutti quelli che sentono, ma soffrire con tutti quelli che soffrono“.
E a dire il vero di attenzione alla sofferenza in questa raccolta ve ne è moltissima.
Non c'è pagina, se si escludono le ultime, quelle da pag. 71 a 75, che si aprono maggiormente alla speranza, che non trasudi una profonda immersione dell' autrice dentro le varie sfaccettature che riguardano i troppi aspetti della vita del nostro tempo toccati dal dolore.
A molti di noi spesso sembra che il male ormai travolga tutti e che sia impossibile fargli fronte tale è la sua capacità distruttiva che spinge la nostra autrice ad affermare, parlando della festa più sacra per i Cristiani, il Natale:
“…ho un venerdì di quaresima “ (in “Non ditemi di Natale”) e in una successiva, a chiudere, sconfortata “Nessuno accoglie il Bambino“ (in “Presepe triste”).
Nessun aspetto della nostra società e dello stato di abbandono nel quale essa versa sfugge all'esame attento della poetessa:
dai nostri migranti di un tempo, agli immigrati di adesso, dai vu' cumprà, alla prostituzione di colore, dai lavavetri sugli angoli delle vie ai kamikaze, dai bambini Siriani costretti ad esperienze spesso di morte lungo avventurosi tragitti per mare ai gay emarginati dalle nostre disattenzioni, dalle spose bambine dell'oriente costrette a vendere il loro corpo a maschi prepotenti e volgari alle donne europee assassinate da uomini violenti che esse intendevano lasciare, niente del male del nostro universo, dicevamo, passa sotto silenzio in questi versi di dolorosa partecipazione.
Si potrebbe dire che questa raccolta sia un collage di disperazione, nel quale la poetessa dimostra veramente di “soffrire con tutti quelli che soffrono” ma la speranza non soffoca la vita dentro il suo cuore che la induce a scrivere questi versi dedicati ai popoli privi di libertà:
Rinasceranno le remiganti / amputate nei giorni delle notte. / Il volo riprenderemo tra raffiche di maestrale / e correnti lievi ascensionali. / Planeremo sicuri sulla dilagante azzurrità /Ancora e ancora / ci riempiremo gli occhi / delle meraviglie / di cui perdemmo la memoria. (da “Ancora in volo”)
Non tutto sembra essere perduto, afferma con un residuo di fiducia, la nostra autrice, e quindi sembra contraddire il significato del titolo della sua raccolta, assolvendo in tal modo ad uno dei compiti principali che ha la poesia, quello di testimoniare del vero ma anche di riconfortare i cuori devastati dal dolore.
Come le tre scimmiette della storia, dopo avere letto queste poesie non avremo più il diritto di affermare che “non abbiamo visto e non abbiamo sentito“ perché tutto il dolore di questi versi ci è stato versato nel cuore e nella mente, e di conseguenza dovremo per forza anche noi rinnegare il terzo diktat della narrazione che dice “non parlo“, e, per ciò dovremo testimoniare la verità al mondo allo stesso modo in cui la Cecere ha fatto, se vorremo essere veramente liberi.