“Ragnatele cremisi” di Claudia Piccinno
(Edizioni La Lettera Scarlatta, Frabosa Sottana, CN, 2015)
Il Porticciolo. Rivista di informazione, approfondimenti e notizie di cultura, arte e società.
Rubrica LO SCAFFALE DEL LIBRO. Edizioni Il Porticciolo. Anno X-Numero 1-Marzo 2017
http://nazariopardini.blogspot.it/2017/01/ester-cecere-su-ragnatele-cremisi-di.html
(Edizioni La Lettera Scarlatta, Frabosa Sottana, CN, 2015)
Il Porticciolo. Rivista di informazione, approfondimenti e notizie di cultura, arte e società.
Rubrica LO SCAFFALE DEL LIBRO. Edizioni Il Porticciolo. Anno X-Numero 1-Marzo 2017
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Canta il dolore, il rimpianto, la disillusione ma anche l’amore abbracciante per il prossimo, l’invincibile speranza per un mondo migliore, per un’umanità non più ostaggio e vittima della violenza e del terrore, Claudia Piccino nelle intense e arrivanti liriche della raccolta Ragnatele cremisi.
E s’ode, in primis, l’amarezza del rimpianto per ciò che avrebbe potuto essere e non è stato (è sfumata nella noia/di una vita senza gioia in Baffo di tigre), nella constatazione che ha trovato pace persino l’inquietudine in un verdetto senza se e senza ma (in L’inquietudine). Tale amarezza, tuttavia, non attiene solo al vissuto della Poetessa ma si estende a quello di tutti coloro i quali non hanno nemmeno avuto la possibilità di sognare il loro avvenire, essendo stata la loro vita malignamente troncata da morti precoci e imprevedibili (v. Compagno di scuola, Dono di matrigna). La solitudine, l’incomprensione affiorano prepotenti e la Poetessa avverte l’abisso e denuncia il vuoto ormai incolmabile: Nel vuoto che sento/è quel pieno che manca… Resto qui/col peso/di un ammanco (in Il peso di un ammanco). E allora l’Autrice, desolata, s’interroga: è forse sua la colpa di questo abissale vuoto interiore? Di questa solitudine dolorosa? Sono la musa del disamore/colei che ispira distanza ma poi si assolve quando riscopre in se’ un incontenibile bisogno d’amore: Sono Amelia che ammalia/e poi resta sola,/se la piccola fiammiferaia ch’è in lei/ha l’ultima parola (in Sono io). E da sola, senza amore che l’affianchi, la sorregga e la conforti, la quotidianità è una rupe da risalire mentre la speranza è una corda per l’arrampicata (Mi convoca il giorno/a mani nude…/e toccato il fondo/m’arrampico rude/alla speranza di risalir la rupe, in La rupe) e si rassegna, la Poetessa, non sempre il sogno ci è concesso e dobbiamo goder di ciò che siamo (in Le ali di Icaro). E tuttavia l’indifferenza dilaga, ferisce, allontana e l’Autrice si ritira dentro la sua armatura dove è condannata a morire piano divorata dalla fame d’amore (in Chiocciola in un catino), si rintana nel suo recinto dal muro solido (in Nel mio recinto), in Un cantuccio virtuale derivante dall’alchimia di un incontro di parole. E se pure il sole sembra portare luce e calore, d’altro non si tratta che dell’ennesimo inganno, un riflesso in uno specchio (in Il sole allo specchio) ché la felicità non esiste, conclude la Poetessa, è abbaglio, meteora, l’illusione degli stolti (in E ora è inverno).
Ma Claudia Piccinno è una donna autentica, vera, sincera, persona dell’essere e non dell’apparire. In un mondo che è finzione, imitazione, Plastica, plastica ovunque, lei è trasparente, ed io… resto vetro (in Plastica nelle vetrine). E questa sincerità dell’intelletto e del cuore le permette di “sentire” gli altri intorno a lei, di “sentire” il dolore del mondo e di farlo proprio. Pertanto, l’Autrice non si rinchiude nella sua amara desolazione, estraniandosi da ciò che la circonda; questo suo malessere interiore non la consegna ad un pessimismo cosmico anzi esalta la sua sensibilità. Accade spesso che nelle persone aperte, disponibili, il dolore personale non alzi barriere, non indurisca il cuore ma, anzi, lo renda permeabile alla sofferenza altrui, incline alla comprensione, alla condivisione, alla pietas. E allora percepiamo quanto l’Autrice si sconvolga e soffra per le guerre (in Chiaroscuro di guerra e pace), per i martoriati bambini di Aleppo (in Opera omnia), per la deportazione e la strage degli Ebrei (in L’appello del sangue versato), per la partigiana Nerina (in La Nerina), per i bambini soldato, le donne uccise da amori malati, le spose bambine, tanto che questo dolore universale diventa, appunto, Opera omnia: L’elenco non s’arresta/ma a divenire s’appresta/indice e somma di un’opera omnia.
Drammatica e angosciante è la lirica-denuncia dedicata a un’emblematica donna vittima di femminicidio, arrivante anche per l’originalità dell’impianto poetico. Strazianti e inorridenti, in questa “opera omnia”, anche i versi dedicati a un bambino soldato (Ciao Gazzella) e alle spose bambine (Gli occhi delle spose bambine), entrambi simboli dell’infanzia rubata, tradita, violata, liriche dove palpita e soffre il cuore della madre, che di quei drammi vive l’orrore in prima persona. Ma la Poetessa “è vetro”; la luce della speranza riesce ad attraversarla tramite il messaggio universale di Dio fattosi uomo per amore delle sue creature. Ed è tenera poesia, sentita preghiera, celata invocazione l’intimo e personale dialogo della poetessa con Dio (in E tu nascesti, nasci e nascerai)!
E attraverso il suo animo cristallino e trasparente, l’Autrice “vede” la natura che la circonda, natura “madre” non “matrigna”, e in essa trova calore e conforto: La chioma del pino mi chiama/e con la spinta del tronco/pian piano risana/quest’animo monco./Accarezzo la corteccia in un abbraccio (in Resina e aromi) e in questo abbraccio, la Poetessa ritrova il suo equilibrio e la forza per continuare il suo cammino.
E’ un messaggio forte, chiaro, inequivocabile, universale quello che Claudia Piccinno trasmette al lettore: il proprio dolore non deve essere rigida armatura nella quale rinchiudersi ma ponte per raggiungere il prossimo sofferente; e lo fa attraverso un verso asciutto, pulito, essenziale, agile, libero da schemi metrici, assoggettato solo alla parola che è sovrana. Pur non manca la musicalità, ottenuta con l’uso sapiente delle figure retoriche, del frazionamento dei polimetri e di qualche rima, ben orchestrata e mai banale.
E s’ode, in primis, l’amarezza del rimpianto per ciò che avrebbe potuto essere e non è stato (è sfumata nella noia/di una vita senza gioia in Baffo di tigre), nella constatazione che ha trovato pace persino l’inquietudine in un verdetto senza se e senza ma (in L’inquietudine). Tale amarezza, tuttavia, non attiene solo al vissuto della Poetessa ma si estende a quello di tutti coloro i quali non hanno nemmeno avuto la possibilità di sognare il loro avvenire, essendo stata la loro vita malignamente troncata da morti precoci e imprevedibili (v. Compagno di scuola, Dono di matrigna). La solitudine, l’incomprensione affiorano prepotenti e la Poetessa avverte l’abisso e denuncia il vuoto ormai incolmabile: Nel vuoto che sento/è quel pieno che manca… Resto qui/col peso/di un ammanco (in Il peso di un ammanco). E allora l’Autrice, desolata, s’interroga: è forse sua la colpa di questo abissale vuoto interiore? Di questa solitudine dolorosa? Sono la musa del disamore/colei che ispira distanza ma poi si assolve quando riscopre in se’ un incontenibile bisogno d’amore: Sono Amelia che ammalia/e poi resta sola,/se la piccola fiammiferaia ch’è in lei/ha l’ultima parola (in Sono io). E da sola, senza amore che l’affianchi, la sorregga e la conforti, la quotidianità è una rupe da risalire mentre la speranza è una corda per l’arrampicata (Mi convoca il giorno/a mani nude…/e toccato il fondo/m’arrampico rude/alla speranza di risalir la rupe, in La rupe) e si rassegna, la Poetessa, non sempre il sogno ci è concesso e dobbiamo goder di ciò che siamo (in Le ali di Icaro). E tuttavia l’indifferenza dilaga, ferisce, allontana e l’Autrice si ritira dentro la sua armatura dove è condannata a morire piano divorata dalla fame d’amore (in Chiocciola in un catino), si rintana nel suo recinto dal muro solido (in Nel mio recinto), in Un cantuccio virtuale derivante dall’alchimia di un incontro di parole. E se pure il sole sembra portare luce e calore, d’altro non si tratta che dell’ennesimo inganno, un riflesso in uno specchio (in Il sole allo specchio) ché la felicità non esiste, conclude la Poetessa, è abbaglio, meteora, l’illusione degli stolti (in E ora è inverno).
Ma Claudia Piccinno è una donna autentica, vera, sincera, persona dell’essere e non dell’apparire. In un mondo che è finzione, imitazione, Plastica, plastica ovunque, lei è trasparente, ed io… resto vetro (in Plastica nelle vetrine). E questa sincerità dell’intelletto e del cuore le permette di “sentire” gli altri intorno a lei, di “sentire” il dolore del mondo e di farlo proprio. Pertanto, l’Autrice non si rinchiude nella sua amara desolazione, estraniandosi da ciò che la circonda; questo suo malessere interiore non la consegna ad un pessimismo cosmico anzi esalta la sua sensibilità. Accade spesso che nelle persone aperte, disponibili, il dolore personale non alzi barriere, non indurisca il cuore ma, anzi, lo renda permeabile alla sofferenza altrui, incline alla comprensione, alla condivisione, alla pietas. E allora percepiamo quanto l’Autrice si sconvolga e soffra per le guerre (in Chiaroscuro di guerra e pace), per i martoriati bambini di Aleppo (in Opera omnia), per la deportazione e la strage degli Ebrei (in L’appello del sangue versato), per la partigiana Nerina (in La Nerina), per i bambini soldato, le donne uccise da amori malati, le spose bambine, tanto che questo dolore universale diventa, appunto, Opera omnia: L’elenco non s’arresta/ma a divenire s’appresta/indice e somma di un’opera omnia.
Drammatica e angosciante è la lirica-denuncia dedicata a un’emblematica donna vittima di femminicidio, arrivante anche per l’originalità dell’impianto poetico. Strazianti e inorridenti, in questa “opera omnia”, anche i versi dedicati a un bambino soldato (Ciao Gazzella) e alle spose bambine (Gli occhi delle spose bambine), entrambi simboli dell’infanzia rubata, tradita, violata, liriche dove palpita e soffre il cuore della madre, che di quei drammi vive l’orrore in prima persona. Ma la Poetessa “è vetro”; la luce della speranza riesce ad attraversarla tramite il messaggio universale di Dio fattosi uomo per amore delle sue creature. Ed è tenera poesia, sentita preghiera, celata invocazione l’intimo e personale dialogo della poetessa con Dio (in E tu nascesti, nasci e nascerai)!
E attraverso il suo animo cristallino e trasparente, l’Autrice “vede” la natura che la circonda, natura “madre” non “matrigna”, e in essa trova calore e conforto: La chioma del pino mi chiama/e con la spinta del tronco/pian piano risana/quest’animo monco./Accarezzo la corteccia in un abbraccio (in Resina e aromi) e in questo abbraccio, la Poetessa ritrova il suo equilibrio e la forza per continuare il suo cammino.
E’ un messaggio forte, chiaro, inequivocabile, universale quello che Claudia Piccinno trasmette al lettore: il proprio dolore non deve essere rigida armatura nella quale rinchiudersi ma ponte per raggiungere il prossimo sofferente; e lo fa attraverso un verso asciutto, pulito, essenziale, agile, libero da schemi metrici, assoggettato solo alla parola che è sovrana. Pur non manca la musicalità, ottenuta con l’uso sapiente delle figure retoriche, del frazionamento dei polimetri e di qualche rima, ben orchestrata e mai banale.
Ester Cecere